Una delle cose meno gradite dell'ultima, e molto discussa, stagione di
Lost era il fatto che, con un bagaglio di minuti a disposizione e la consapevolezza che fossero gli ultimi, la serie indugiasse su nuovi elementi piuttosto che sul completare quelli da risolvere. Ora,
Banshee non è Lost e non ha nulla in comune con quella serie, ma qualcosa forse si può dire in proposito alla luce di ciò che è stato raccontato in
Innocent Might Be a Bit of a Stretch. Perché in effetti, come dicevamo al principio della
recensione della scorsa settimana, è impossibile ormai scindere una valutazione sulla singola puntata dalla più ampia cornice dell'ultima stagione in cui è inserita. Stiamo parlando di un conto alla rovescia che non si interrompe e che non possiamo far finta di non vedere.
Allora non è tanto ciò che accade a lasciarci con una sensazione negativa, quanto il modo in cui si lega al resto. La categoria dei satanisti killer in effetti era una delle poche rimasta scoperta nella poco ridente cittadina di Banshee, ed ecco quindi che la scrittura pone rimedio, introducendo a quattro episodi dalla conclusione un fronte nuovo e, potremmo dire con relativa sicurezza, rispondendo alla domanda su chi abbia ucciso Rebecca. Il condizionale su questo punto rimane, dato che vogliamo credere fortemente che i flashback (peraltro ben gestiti, a un certo c'è una transizione tra presente e passato in auto molto riuscita) abbiano un risvolto narrativo oltreché psicologico.
È tutto un segmento calato dal nulla, che tocca solo marginalmente gli eventi, giocando a posteriori come strumento per rimettere in moto le motivazioni di
Hood, che in realtà già ne avrebbe avute di sue. Potrebbe essere suggestione, ma è difficile non vedere dei riferimenti ad
Hannibal nella costruzione della sequenza iniziale. Ciò che accade dopo è spiazzante per quanto è inedito rispetto a ciò che ci aspettavamo, ma vedremo cosa vorrà farci la serie con questa storyline
Poco o niente Sugar, Job traumatizzato e irriconoscibile, Hood bloccato dietro le sbarre della prigione e quelle, meno concrete, della propria mente. Il testimone passa ad Ana, che lo raccoglie con determinazione, imbracciando un lanciafiamme e devastando il magazzino dei produttori di droga. È l'unico vero momento d'azione della puntata ed è il migliore di un episodio che spesso latita nel mantenimento del ritmo. Per il resto grande spazio alla famiglia di Bunker. I fili gettati in questo episodio e nei precedenti stanno creando una fitta rete di relazioni, un groviglio in cui ogni mossa ne sblocca un'altra: i rapporti tra Bunker e la sua famiglia, con il suocero appena fatto uscire dal carcere, ovviamente Proctor e Burton, i nazisti, il cartello della droga che potrebbe non prenderla bene.
I legami di tutto ciò con Hood erano pregressi, e in fondo era tutto ciò che l'ultima stagione avrebbe dovuto creare: un lungo e appassionato scontro finale con Proctor. Peraltro, arrivati al giro di boa, possiamo dire che l'idea di farlo sindaco e di giocare su un salto temporale non sia stata male. Però qualcosa si sarebbe potuto costruire in maniera diversa. Magari con una première che ci gettasse in medias res nel salvataggio di Job dai suoi aguzzini, quindi il ritorno a Banshee per lo scontro finale, tirando dentro i nazisti, Bunker e tutto il dipartimento di polizia. A proposito di polizia, arriva l'agente federale Veronica Dawson. Donna forte, tacchi alti, non disdegna l'uso di droghe, e ovviamente è attratta da Hood. Ci vuole una certa personalità per entrare in una stanza in cui si trovano Hood, Proctor e Brock e catalizzare tutta l'attenzione su di sé, e
Eliza Dushku è quel tipo di persona. Ma, anche in questo caso, non possiamo fare a meno di pensare che mancano solo quattro episodi alla fine.