Bandit, la recensione
uando un crime è così privo di ritmo, insensatamente lungo e così idealmente vuoto, è difficile capire cosa farsene. L’idea, alla fine, era solo quella di fare un film tratto da una storia vera. Decisamente non abbastanza.
La recensione di Bandit, disponibile su Prime Video dal 7 agosto
Rispetto al genere criminale, il film tenta l’approccio ammiccante e ironico con lo spettatore che ha settato per primo Martin Scorsese (da Quei bravi ragazzi in poi) e che ha poi ripreso Adam McKay (La grande scommessa): il personaggio che si rivolge allo spettatore, gli inserti testuali a commentare dei freeze frame, l’ironia di personaggi criminali privi di scrupoli ma presentati come familiari. E, ovviamente, la storia vera di grandi frodi o grandi crimini. Bandit, e c’è da riconoscerglielo, prova tutti questi mezzi per distinguersi nel mucchio dei film medi da piattaforma e trovare qualcosa di originale; di fatto, però, non riesce mai a trovare il suo respiro, il suo senso, la sua identità. L’effetto è proprio quello di una copia mal scritta e poco fedele di uno dei tanti film che rievoca.
Il personaggio di Robert avrebbe tutti i motivi del mondo per essere interessante, certamente almeno dal punto di vista psicologico. Cosa lo spinge a fare ciò? Perché continua a farlo? Perchè dovrebbe smettere? Perché non sta smettendo? Eppure è proprio il personaggio protagonista il problema forte di Bandit. Robert viene infatti dipinto come un simpaticone, un uomo affascinante, un furbo. La sua motivazione dovrebbe essere il cuore del film, ma di fatto non lo è. L’interpretazione di Josh Duhamel sembra in tutto sbagliata e, complice una scrittura molto banale, il criminale che dovremmo vedere nelle sue sfaccettature ha la consistenza di un pupazzo vuoto e privo di caratteristiche ma che vuole piacere tantissimo allo spettatore. Davvero fastidioso.
Per il resto, dato questo tipo di personaggio fallimentare c’è poco in Bandit che possa salvare l’interesse. Le scene di rapine sono anche ben girate, e in generale la regia fa tutto il lavoro di coinvolgimento che la storia non fa. Ma quando un crime è così privo di ritmo, insensatamente lungo e così idealmente vuoto, è difficile capire cosa farsene. L’idea, alla fine, era solo quella di fare un film tratto da una storia vera. Decisamente non abbastanza.
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