Ballo Ballo, la recensione

Ballo Ballo sembra voler lanciare fuori dalla finestra l’imbarazzante serietà moralizzante di certo cinema anni settanta, ma come un boomerang questa le ritorna indietro

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Se due lustrini e tanta allegria possono fare un musical, un musical non può vivere di soli cliché e costumi colorati.Ballo Ballo, film diretto da Nacho Álvarez che riprende i grandi successi di Raffaella Carrà, parte con l’intenzione di prendere in giro tutte le coincidenze e le forzature del musical e della commedia romantica: tuttavia a conti fatti non fa che risultare un film vittima della sua stessa parodia, di cui diventa un esempio.

Ballo Ballo è ambientato a Madrid negli anni Settanta e racconta di Maria (Ingrid García-Jonsson), un’aspirante ballerina che lavora allo show di ballo di Rosa - alter ego della Carrà - e della sua storia d’amore con Pablo (Fernando Guallar) che lavora nello studio dell’emittente che trasmette il programma. Maria vuole ballare liberamente in televisione, ma proprio il padre di Pablo è l’addetto alla censura e non fa che tarparle le ali e allungarle la gonna. Tra continue coincidenze e forzature, Maria si convince di poter cambiare le regole della censura con la sua sola forza di volontà, riuscendo a salvare allo stesso tempo la sua relazione con Pablo e il suo posto di lavoro, rimodernato grazie al suo ottuso intervento.

Di Ballo Ballo si salvano forse solo le belle scenografie, il suo gusto pop, la sua ingenuità estetica di mondo palesemente ricostruito: ma, attenzione, nella sola misura in cui si è tutti consapevoli della forzatura voluta, dell’esagerazione. Insomma, se si è consapevoli del fatto che il film non pretende di fare approfondimenti di qualsivoglia tipo. Tutto in Ballo Ballo è smaccatamente finto, urla “set”; i personaggi sono delle macchiette bidimensionali, privi di profondità. E tutto ciò non è un di per sé un male, non è un obbligo, se il film riesce comunque a reggersi su un suo equilibrio interno, che sappia allineare pretese e risultato. Ma in Ballo Ballo non è così, perché il film commette un peccato mortale: la sua presa in giro alla censura, la sua parodia della televisione d’altri tempi, della coincidenza romantica, non ci convince mai davvero di essere un’operazione a cuor leggero, lasciandoci invece il forte dubbio che i suoi dialoghi posticci, i suoi personaggi-pupazzetti, i suoi intrecci tutti prevedibili, si prendano sul serio. Ballo Ballo sembra voler lanciare fuori dalla finestra l’imbarazzante serietà moralizzante di certo cinema anni Settanta, ma come un boomerang questa le ritorna indietro: ecco allora che le molestie sul lavoro, il pudore per la sessualità e la normalizzazione facilona diventano per Ballo Ballo un motivo di vero imbarazzo per lo spettatore, e il tono scherzoso con cui dipinge quel mondo non fa che peggiorare le cose.

Se almeno i pezzi di musical potevano in qualche modo farci distrarre dalla trama, purtroppo non è così. Non solo perché i protagonisti sembrano continuamente dei manichini ingessati, incapaci di muoversi, ma anche perché la regia ha il peso di una zavorra e riesce a far sembrare statico e lento qualsiasi passo di danza. Le canzoni sono uno spietato e frettoloso riarrangiamento delle canzoni della Carrà: ma la vera nota dolente, il colpo finale, è il fatto che il doppiaggio non si sforza nemmeno di assomigliare al labiale degli attori, creando un effetto di pura distopia trash. Perdonali, Raffaella.

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