Bad Boys: Ride Or Die, la recensione

Sempre più vecchi, sempre più familisti, eppure in Bad Boys Ride Or Die i protagonisti continuano ad atteggiarsi come ragazzini

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Bad Boys: Ride Or Die, il nuovo film con Martin Lawrence e Will Smith in uscita il 13 giugno

La previsione che in Bad Boys: Ride Or Die Martin Lawrence fa del futuro del suo collega, interpretato come sempre da Will Smith, è la sinossi dell’arco narrativo non solo di qualsiasi film della serie Bad Boys, ma proprio di qualsiasi film d’azione classico americano (cioè quelli con l’esaltazione dell’individualità di uno o più eroi imbattibili): "Le cose si metteranno male. Sarai messo alla prova. Dovrai prendere una decisione difficile". Il programma è sempre lo stesso, quello dell’action movie scanzonato come oggi non si fa più, ma scritto, girato e interpretato come se occorresse dimostrare come mai oggi non si fa più. Tornano Adil El Arbi e Bilall Fallah, i registi dal Belgio, e torna la più velleitaria e nostalgica idea di cinema d’azione, tra quelle che oggi non hanno più un perché.

Già il precedente Bad Boys For Life faticava a mettere insieme l’essenza del franchise e i tempi moderni: l’atteggiamento giovanile, sfrontato e irriverente dei protagonisti con il loro aver superato i 50 anni, il machismo ostentato con il farsi una famiglia, il nuovo modo in cui si parla di donne e si mostrano donne con l’atteggiamento da spogliatoio e via dicendo. Ora Bad Boys: Ride Or Die (i titoli si fanno sempre più imbarazzanti per un film di vecchi) mette in crisi anche l’equilibrio della coppia, dando a Lawrence una parte più risolutiva e invece a Will Smith quella più tenera, familiare, in crisi e bisognoso di essere sostenuto. Ma sono tutte illusioni: alla fine si ricomporrà esattamente l’equilibrio iniziale per il prossimo episodio, in cui fingere di andare in deroga a un’altra delle caratteristiche impresentabili della saga.

E mentre i due registi si avvicinano sempre di più all’imitazione dello stile di Michael Bay (stavolta ci sono anche le focali lunghe, i lens flare e più movimenti circolari), il resto del film sembra contrastare con queste scelte formali. Non c’è l’epica che si accompagnerebbe a queste immagini, ma anzi una specie di quieta esaltazione del vivere familiare. Questo è pur sempre un film per il pubblico degli inizi degli anni 2000, quello di una volta, oggi passato a più miti sogni e più caute aspettative. Un pubblico, si capisce dal film, per il quale va bene vivere un’altra grande avventura, ma senza dimenticare i veri valori per cortesia! E così anche tutta la componente cool, che era molto importante nei primi film, qui diventa l’idea di cool che possono avere delle persone anziane che vogliono dimostrare ai giovani di essere al passo con le mode e i tempi.

Tutto il film è contaminato quindi non solo da un accostamento a contrasto tra l’atteggiamento dei protagonisti (si muovono, parlano e discutono come se avessero venti anni) e i sentimenti che il film fa provare loro, i valori che gli fa esprimere, se non proprio la vita che gli vediamo fare, ma anche tra la grande epica dello score e della messa in scena (c’è pure una gran bella scena di disastro in elicottero) e il mood conservatore, dimesso e ripiegato sul mantenere una vita invece che viverla nella maniera più piena. È il modello Fast & Furious (incluso il barbecue familiare finale) ma se a quello gli si leva la totale e insensata follia demenziale dell’azione, gli si è levato tutto.

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