Bad Boys for Life, la recensione
Come un cornetto senza panna, come una ciambella senza buco, come un western senza pistole, Bad Boys For Life perde Michael Bay e quindi perde tutto
BAD BOYS FOR LIFE, AL CINEMA DAL 20 FEBBRAIO: LA RECENSIONE
Rifare Bad Boys senza Michael Bay significa non aver compreso (o aver compreso ma disinteressarsene) il fatto che quel film non è la sua trama o le sue star, ma il suo stile. Girare Bad Boys for Life vuol dire sì avere Will Smith e Martin Lawrence ma soprattutto vuol dire replicare quello stile, perché altrimenti non è più quella serie di film lì. Non c’è Bad Boys senza i colori saturi, i lampioni, l’arancione e celeste della color correction o le riprese a 360 gradi. Insomma bisogna imitare Michael Bay, ma imitare Michael Bay non è possibile. Nessuno è in grado di fare quel che fa lui, è possibile solo farne una copia sbiadita, che è quel che è questo film.
Quel che però è importante, e qui manca, è la capacità di creare epica ed eroismo veri tramite lo stile. Qui in realtà i due protagonisti hanno ben poco di mitico, anzi lottano per essere ancora rilevanti e dimostrarsi in grado di risolvere la situazione nell’incredulità generale.
Affannato nel tentativo di essere come il maestro ma mai davvero all’altezza, il duo Adil El Arbi e Bilall Fallah ce la mette tutta per perdere la propria personalità e mascherarsi da Bad Boys mentre in realtà gira un film che ne contiene tanti diversi e sembra essere stato prodotto con la missione di assomigliare a Fast & Furious e agli altri world-movie.
Curioso poi come la trama che riguarda Will Smith sia molto molto simile a quella di Gemini Man (con “un sé più giovane” che lo vuole morto, da combattere ma anche accogliere, manipolato da una persona che ha mollato), segno di quanto le dinamiche di doppio e tradimento, tipiche del cinema cinese (del resto Gemini Man era del taiwanese Ang Lee e sognava di somigliare a John Woo), siano ormai una regola per i film pensati per incassare in tutto il mondo.
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