Back To Black, la recensione
Voluto dalla famiglia, gestito da chi gestisce il patrimonio di Amy Winehouse, Back To Black è un film ripulito che promuove i dischi
La recensione di Back To Black, il film ufficiale su Amy Winehouse, in sala dal 18 aprile
Dunque Back To Black, il film ufficiale con tutte le canzoni giuste, in cui papà e mamma Winehouse escono benissimo (lui addirittura interpretato dal sempre efficace Eddie Marsan), è la storia di Amy Winehouse, cioè di una donna, raccontata attraverso il suo rapporto con gli uomini. Principalmente Blake, il fidanzato dei suoi ultimi anni, ma ovviamente anche il padre e le persone nell’etichetta musicale. Lungo il film si parla spesso dei suoi gusti in fatto di uomini e si mostra come questi rapporti fossero resi difficili dal voler essere autonoma di Amy Winehouse. E non è il massimo raccontare una donna autonoma attraverso il rapporto con gli uomini della sua vita, come se comunque fossero stati loro a decidere tutto e determinare tutto.
Ci sarebbe a questo punto almeno da godere della musica. La selezione musicale di brani altrui che puntella il film è buona, come sono buone le versioni dei brani di Amy Winehouse e Marisa Abela è molto brava. Tutto Back To Black è pensato in modo che la trama della vita della cantante, spieghi e illustri le canzoni (che a loro volta erano un modo per elaborare parti della sua vita). Un approfondimento dei testi sostanzialmente. È quando si vuole andare in profondità sui drammi e i problemi, quando si vuole raccontare un amore purissimo che diventa malato, che il film è maldestro, quando vuole salvare il padre (un personaggio senza senso, che guarda la figlia con orrore e sembra non poter fare nulla, è solo continuamente sconfortato da lontano), che rivela una missione che vanifica ogni tentativo di creare qualcosa di autonomo, significativo o anche solo appassionante.