Babyteeth, la recensione | Venezia 76

La nostra recensione del film Babyteeeth, in concorso alla 76. Mostra del Cinema di Venezia

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Babyteeth, l'opera prima della regista australiana Shannon Murphy presentata in Concorso al Festival di Venezia, adatta con successo uno spettacolo teatrale scritto da Rita Kaljenais addentrandosi con sensibilità e un pizzico di umorismo un po' dark nelle tematiche della morte e della malattia.

Milla, la protagonista interpretata dall'attrice Eliza Scanlen (Sharp Objects), è una quindicenne alle prese con una malattia particolarmente aggressiva che non sembra lasciarle alcuna speranza. L'incontro fortuito con Moses (Toby Wallace), un ragazzo che sopravvive spacciando medicinali e allontanatosi dalla sua famiglia, la porta a vivere delle esperienze inaspettate che la fanno sentire nuovamente viva e le danno la spinta per compiere delle esperienze nuove. I genitori della ragazza, Henry e Anna (Ben Mendelsohn ed Essie Davis) cercano di sostenere la famiglia mantenendo una visione aperta, mentre tutto il mondo che hanno creato va in mille pezzi. Milla, con la sua voglia di amare e godersi le piccole gioie quotidiane lascia così un segno profondo nella vita di tutte le persone che le stanno accanto, dai genitori all'insegnante di musica che le dà lezioni di violino, senza dimenticare ovviamente Moses la cui esistenza viene letteralmente stravolta venendo trascinato nell'orbita della famiglia Finlay, disfunzionale ma piena di amore.

Trovare un giusto equilibrio tra momenti drammatici ed elementi leggeri e divertenti in una storia così complessa e ricca di significato come Babyteeth era davvero complicato, tuttavia Shannon Murphy riesce a raggiungere il suo scopo di intrattenere, divertire, commuovere e far riflettere grazie a una sceneggiatura brillante e intelligente firmata da Rita Kalnejais che ha trasformato il suo testo teatrale in un progetto cinematografico che suscita emozioni sincere, spaziando dalle risate alle più che ovvie lacrime senza mai proporre situazioni o dialoghi stucchevoli e non realistici, puntando la propria attenzione su ognuno dei personaggi, delineandoli tutti con attenzione. Eliza Scanlen in Babyteeth dimostra di essere una delle attrici emergenti più interessanti emerse nel panorama cinematografico e televisivo negli ultimi anni: la sua Milla è una teenager atipica rispetto agli stereotipi proposti spesso nella finzione, venendo mostrata con tutte le sue stranezze e unicità pur non mettendo mai in secondo piano il suo lato vulnerabile e sensibile. La giovane interprete si dimostra particolarmente convincente nel portare in scena i momenti di maggior libertà di Milla, come quando si lascia andare ballando durante una lezione di musica o i piccoli gesti di ribellione, ma è ugualmente efficace nei passaggi più drammatici e intimi, regalando delle interazioni con Ben Mendelsohn che, proprio per la loro naturalezza e sincerità, commuovono fino alle lacrime con le semplici espressioni e piccoli gesti. L'esperto attore australiano dimostra ancora una volta il suo incredibile talento con un personaggio per cui è quasi impossibile non provare affetto e simpatia. Henry viene tratteggiato come un uomo semplice che cerca un modo personale di affrontare il dolore mentre deve occuparsi di sostenere la moglie, la figlia e i suoi pazienti. La sua attività come psicologo diventa così quasi un'arma a doppio taglio e un elemento narrativo intelligente nelle mani della sceneggiatrice perché da un lato lo spinge a razionalizzare la propria situazione e quella di chi gli sta intorno e dall'altro rendono particolarmente umani e comprensibili i suoi difetti e gli inevitabili errori che compie sul suo cammino durante la malattia di Milla: dall'incapacità di non aiutare una vicina incinta a cambiare una lampadina alla scelta di accettare il desiderio della figlia ed accogliere Moses, pur dovendo fare i conti con i suoi innumerevoli problemi. Toby Wallace, pur avendo a che fare con un personaggio a tratti quasi negativo, riesce a non far rimpiangere la mancanza di maggiori dettagli relativi al suo passato, riuscendo comunque a far comprendere le debolezze e il lato meno spavaldo ed esuberante di Moses. Essie Davis è poi esilarante ed emozionante in egual misura, passando da una sequenza "stupefacente" ad attimi più intensi senza sbavature.

Shannon Murphy, pur essendo alle prese con il suo primo lungometraggio da regista, dimostra una grande maturità nel gestire i personaggi, la costruzione delle immagini, la narrazione divisa in capitoli e le complesse tematiche affrontate. Il compito della filmmaker non era particolarmente semplice, ma il risultato è davvero incisivo, anche grazie a un ottimo utilizzo della colonna sonora e a una fotografia firmata da Andrew Commis che valorizza le location scelte e i volti degli attori con effetti quasi poetici.

Rita Kalnejais ha compiuto un ottimo lavoro nel curare l'adattamento della sua opera teatrale e lo script ha sicuramente aiutato tutto il cast a dare il meglio di sé in occasione di un progetto destinato a far parlare di sé nella stagione dei premi, partendo proprio dalla 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia dove è in corsa per i premi ufficiali.
Babyteeth, pur proponendo una storia già vista innumerevoli volte sugli schermi e con alcuni difetti nel montaggio e nella gestione della storia, riesce a distinguersi con la sua rappresentazione di una famiglia come tante altre, imperfetta e disfunzionale, che affronta la sofferenza e il dolore in modo realistico, tra decisioni sbagliate e quella di seguire il proprio istinto nell'avvicinarsi alle persone, creando dei legami destinati a resistere a ogni avversità, anche alla prospettiva di doversi dire addio per sempre.

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