Babygirl, la recensione: Nicole Kidman, sesso per educande
Dentro Babygirl c'è un gran timore di mostrare realmente il sesso e le fantasie sessuali che impedisce in ogni momento al film di essere quel che vuole
Di tutto questo film, la cosa più giusta è la scelta di Nicole Kidman, corpo femminile replicante dei nostri tempi, mantenuto il più possibile giovane grazie all'intervento della scienza e alle moderne pratiche di attività fisica e alimentare. Babygirl la associa subito con i robot. Per tutta la durata del film vedremo questo corpo (lo stesso che in Eyes Wide Shut aveva desideri inconfessati) che al tempo stesso si colloca nella dimensione fisica delle donne non più giovani e in quella delle donne che, contrariamente a come di solito vengono considerate e rappresentate, godono, desiderano e vogliono essere desiderabili con ogni mezzo, rapportarsi a un altro corpo, quello di Harris Dickinson, già rappresentato come ideale di bellezza in Triangle of Sadness. La relazione di potere sessuale che esiste tra un corpo maschile giovane e attraente e uno femminile maturo, scolpito e modificato in ogni modo per continuare ad attirare, domina tutto il film.
Come film erotico Babygirl è un’operazione quasi timida, per educande o per bambini. Come film psicologico presenta rapporti di forza elementari e prevedibili che non pongono nessuna domanda seria. Potrebbe avere un senso come mezzo di provocazione sul modo in cui la società americana, specie sul posto di lavoro, ha la fobia delle relazioni carnali. La protagonista è un capo che fa sesso con il suo stagista; è una pratica che il pubblico vede come positiva per lei, ma arriverà il momento in cui sarà un problema sul lavoro. Eppure, questa che è la domanda più provocatoria di tutte (fino a che punto la prevenzione delle molestie non sconfina nella repressione?), è anche la meno esplorata, annullando qualsiasi vero coraggio in questa storia.