Baby (seconda stagione): la recensione
Sempre più vicino al teen drama, alla seconda stagione Baby conferma il proprio glamour cortese e mai scabroso, sospeso e leggero
Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.
Sempre meno legato ai fatti di cronaca, sempre più affine come forma e contenuti al teen drama, Baby torna con una seconda stagione su Netflix. Il filone legato alla prostituzione minorile non si esaurisce, ma le deviazioni criminali della prima annata lasciano il posto nell'intreccio a spunti adolescenziali, tormenti amorosi, sofferenze più intime. Il paradosso della serie è quello di un glamour cortese, mai scabroso, sospeso come certe musiche che fanno capolino a più riprese sovrastando le immagini. Lo show ha la sfrontatezza di un sedicenne che sente di avere già troppa vita alle spalle e cammina come se portasse il peso del mondo addosso.
Il disagio sociale di Baby assume tuttavia contorni elettrizzanti e inebrianti. Non parla il linguaggio della problematizzazione, non emette giudizi che non siano quelli puramente legati alla mediocrità dei rapporti umani. Da un certo punto di vista, si sforza molto per elevarsi al di sopra del territorio di riferimento e parlare un linguaggio universalmente riconoscibile dai giovani. Nel fare questo rinuncia a sottigliezza e conflitti più sfumati. L'intreccio e i dialoghi procedono per grandi affermazioni nette, gesti eclatanti, scatti di rabbia fulminei e altrettanto veloci riavvicinamenti. I personaggi con i loro conflitti – si spera con qualche forma di maturazione – sono trascinati dalla corrente, ma di questo non si curano troppo.