Baby Invasion, la recensione: Harmony Korine sta un passo avanti ai videogiochi
Dopo Aggro Dr1ft ora Baby Invasion è di nuovo un film che riflette sull'immaginario visivo dei videogiochi, senza passare dalla logica ma lavorando sulla percezione
Baby Invasion non è l’imitazione dei videogiochi con i mezzi del cinema, è una rappresentazione che vuole e riesce a stare un passo avanti all’estetica dei videogiochi, poiché la fonde con gli strumenti del cinema a basso costo. Bassissimo costo. Baby Invasion si gira in una giornata (se lo si è provato bene prima) e il resto è postproduzione casalinga. Come già Aggro Dr1ft, è cinema di ricerca, una sperimentazione visiva completamente slegata dalla narrazione, che cerca di usare gli strumenti visivi della videoludica mainstream per riflettere sul futuro delle immagini. Questa volta, sono i videogiochi in live streaming la cornice principale in cui Harmony Korine continua a rappresentare come l’immaginario violento e i segni del cinema o della serialità cambino di significato.
Insomma, a livello logico Baby Invasion non funziona (perché proprio non lo vuole); a livello visivo, invece, è una miniera di modi diversi di mostrare come l’immaginario videoludico sia un mondo delle immagini con regole proprie, in cui i soliti segni come mitra, cadaveri, monete o facce di neonato non hanno per forza lo stesso significato che avrebbero in un film o in una serie, e soprattutto possono stringere tra loro legami nuovi. La faccia di un neonato sul corpo di un uomo adulto armato non è una maschera come i presidenti di Point Break o un dettaglio dell’orrore come negli slasher, ma qualcosa che rimanda a una dimensione di divertimento ironico e sbruffone. Un giro in bici nel mezzo del delirio non è un intermezzo a contrasto kubrickiano ma un modo di divertirsi con le potenzialità del mondo simulato e di fatto realmente "giocare" senza nessun significato ulteriore.