Babel
Un’americana viene ferita per errore in Marocco da un ragazzino, mentre i suoi figli si recano in Messico per seguire la loro governante. Dall’autore di 21 grammi e Amores Perros, una pellicola intensa e avvincente…
La prima parte di Babel è semplicemente straordinaria. La tensione che il regista riesce a creare è a tratti insopportabile (penso soprattutto a quando vediamo Cate Blanchett sul bus, una scena sconvolgente), così come la capacità di descriverci i personaggi rapidamente e senza troppi fronzoli.
Ma non sono solo i protagonisti ad apparire avvincenti, ma anche i Paesi e le terre lontane in cui avvengono le storie, dipinti in maniera ottima grazie al cibo, la musica e i colori, senza mai cadere nello stereotipo. A differenza di 21 grammi, dove conoscevamo praticamente tutta la storia dopo mezz’ora (rendendo pressoché inutile il resto), qui il tempo (e lo ‘sfasamento’ tra le diverse vicende) viene utilizzato in maniera efficacissima. E, nonostante buona parte della critica si sia soffermata sull’aspetto sociologico di queste vicende (come se il film dovesse raccontarci il mondo post 11 settembre), è bello vedere che l’episodio migliore è anche quello più intimo e meno ‘politico’, grazie al racconto delle difficoltà di una ragazza sordomuta giapponese.
Difficile pensare che questo titolo non dica la sua agli Oscar, almeno per quanto riguarda categorie come regia, montaggio o colonna sonora. Più difficile il compito degli attori, considerando che le ‘star’ Brad Pitt e Cate Blanchett hanno forse i ruoli più ingrati (in una storia che deve molto al Rossellini di Viaggio in Italia, ma che sembra più che altro un collante per le altre vicende, ben più interessanti). Fossi nei produttori, punterei forte sull’ottima Adriana Barraza, che fornisce una prova molto toccante nei panni della governante messicana.