Babau vol. 1, la recensione

Abbiamo recensito per voi il primo dei due volumi di Babau, fumetto dai toni dark di Mathieu Salvia e Djet

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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C'è una razza di umanoidi che nascono dai peggiori sentimenti degli esseri umani. Le scorie di paura, disgusto, odio e rancore si condensano piano piano, si distillano, si cannibalizzano l'un l'altra fino a che prendono forma di Babau. Esseri oscuri, sempre affamati, che vivono per nutrirsi di quelle stesse scorie di cui sono composti e poi utilizzarle per amplificare i cattivi propositi delle persone, spingendole ad andare oltre ogni inibizione e a commettere le peggiori nefandezze. Creando dolore, danno vita a nuovi sentimenti tenebrosi, nuove scorie e ancora nuovo nutrimento, in un ciclo potenzialmente infinito di male e crudeltà.

Bisogna essere coraggiosi, come il bambino protagonista di Babau, per vederli e chiedere a papà e mamma di farli sparire. Solo che probabilmente papà e mamma non crederanno a una parola. Peggio per loro, perché la realtà di queste creature da incubo rischia di diventare estremamente evidente. Potrebbe capitare, ad esempio, che mamma e papà facciano una brutta fine a causa loro e che sventurati bambini si trovino costretti a fuggire e a trovare protezione presso un ben strano difensore: Padre Morte, un Babau antico e stanco della condotta della propria razza, temuto e rispettato un tempo, ma ora vilipeso e considerato un pezzo d'antiquariato. Se il bambino è fortunato, uno come Padre Morte si è installato nella sua cantina da anni e non ha voglia di assistere a un infanticidio. Ecco, allora, che inizia un viaggio traumatico e da film horror in giro per la città, nel tentativo di portare al sicuro l'innocente e, forse, di riscattare un passato fatto di peccati e colpe imperdonabili.

Questa, in soldoni, la trama cui dà inizio il primo volume (di due) di Babau, fumetto scritto da Mathieu Salvia e disegnato da Djet. Ben disegnato, lasciateci dire, con uno stile che fonde il meglio di un certo Greg Capullo dei tempi di Spawn, in assenza di linee cinetiche sovrabbondanti ma con effetti di luce che ci ricordano tantissimo quei tempi. Anche le Sorelline, le scorie viventi del dolore umano, ci ricordano parecchio l'immaginario di demoni e diavoletti della creatura di Todd McFarlane. E anche un po' gli incubi di Darkness, il personaggio cui diede i natali Marc Silvestri. Una trama appena all'inizio, non proprio originalissima, ma interessante, i cui primi passi non mancheranno di interessare i fan delle saghe gotiche e un po' inquietanti.

Si tratta di un albo molto introduttivo, quello che Star Comics pubblicherà il prossimo novembre e che presenterà in anteprima a Lucca Comics & Games 2018, che giunge a metà della parabola narrativa e che soffre, a nostro modo di vedere, di una piccola mancanza di coraggio di base. La storia si apre come un flashback, come il racconto a posteriori di un'avventura allucinante e post-traumatica. Il piccolo protagonista della vicenda ci viene inizialmente presentato come il narratore di tutto quanto - ce lo dicono le didascalie iniziali e ce lo ricordano in seguito - ma non è quasi mai suo il punto di vista da cui seguiamo gli eventi, se non per brevi tratti. Peccato. Sarebbe stato molto più interessante vedere attraverso i suoi occhi il dipanarsi degli scontri e scoprire le dinamiche sociali, saltate e radicalmente cambiate, della comunità dei Babau.

Ciò detto, parliamo di un fumetto di genere piuttosto solido, con le carte in regola per creare una mitologia dai sapori bui, tosta e spettacolare. Anche grazie a una buona narrazione per immagini, che interviene a mitigare i dubbi e le incertezze che, qua e là, emergono nei toni della sceneggiatura, un po' incastrata fra il fumetto adulto che colpisce allo stomaco e la favola dark.

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