Azor, la recensione

Azor è un viaggio intrigante nel lato “pulito” del regime e pur mostrando incertezze sui modi di raccontarsi dimostra bene le potenzialità del suo autore.

Condividi
Azor, la recensione

1980. In una Buenos Aires in piena dittatura militare il banchiere privato svizzero Yvan De Wiel (Fabrizio Rongione), accompagnato dalla moglie Inés (Stéphanie Cléau), si dedica a formalissime visite presso i suoi facoltosi clienti argentini. In questo mondo ovattato fatto di ricevimenti, corse di cavalli e grandi proprietà, visivamente lontanissimo dall’immaginario della dittatura, De Wiel si perde alla ricerca del suo partner misteriosamente scomparso René Keys, di cui progressivamente scopre la relazione sempre più stretta con il potere politico.

Azor è un’intrigante ricerca dal moto ondivago: apparentemente un thriller investigativo, con indizi da analizzare, informazioni da confrontare e oggetti da raccogliere, quello diretto da Andreas Fontana (e co scritto da questo con Mariano Llinás)è in realtà una lento e progressivo svelamente del protagonista a sé stesso, una ricerca narcisista ed egomane che lo porta a confrontarsi con il sul suo senso di inferiorità e inadeguatezza (verso il collega, verso il padre) fino a fare, forse per la prima volta nella sua vita, una scelta morale.

In questo senso il racconto di Fontana della dittatura è decisamente raffinato: è un racconto che lavora sullo spaesamento, sulle aspettative. Non c’è bisogno di fare alcuna introduzione narrativa, di raccontarci cosa sia l’Argentina della dittatura (dà tutto per scontato) ed entrando in medias res ci cala subito in un mondo di sospensione e di incertezza. È il mondo decadente, menefreghista e tacitamente angosciato di questi uomini senza scrupoli ciò che ha reso davvero possibile ciò che non si vede, quel mondo di eventi che qui immaginiamo soltanto.

A livello estetico, Fontanta usa il formalismo degli ambienti per sottolinearlo con le immagini, usate come punto di vista da cui spiare (una casa vuota con i suoi oggetti, le persone) o da cui ammirare in modo incantato e quasi naïf personaggi che si muovono in grandi ambienti naturali. Il suo sguardo e la sua idea di racconto visivo sembrano, a tratti, ancorarsi al cinema francese anni Settanta (molto Rohmer), e forse quel senso di poesia quotidiana a lungo andare stride con l’idea di essere un racconto più sottilmente allusivo.

Azor vive quindi di evocazione. In questo lavoro il progetto narrativo, tuttavia, si filaccia pian piano: il punto di arrivo, con una scelta finale che va verso il cambiamento, sottolinea forse il progressivo cedimento di Azor a una tesi che, per essere compiuta, viene come calata dall’alto sul personaggio. Insomma viene prima la tesi del personaggio, o meglio, quella scelta morale non viene preparata abbastanza dentro il protagonista per risultare credibile nel momento in cui viene compiuta.

Ad ogni modo, Azor è comunque un viaggio intrigante nel lato “pulito” del regime, e pur mostrando incertezze sui modi di raccontarsi e un po’ di fretta nell’arrivare alle conclusioni (ed essendo Rongione, forse, eccessivamente asciutto) dimostra bene le potenzialità del suo autore.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Azor? Scrivetelo nei commenti!

Vi ricordiamo che BadTaste è anche su Twitch!

Continua a leggere su BadTaste