Away we Go - American Life, la recensione

Una coppia in attesa di un figlio deve decidere dove andare a vivere e così incontra amici e parenti. Ritorno al cinema di Sam Mendes con un piccolo prodotto molto carino, ma che mantiene alcuni dei difetti tipici del suo cinema...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Away We Go
RegiaSam Mendes
Cast
John Krasinski,    Maya Rudolph, Carmen Ejogo, Catherine O'Hara, Jeff Daniels, Allison Janney, Maggie Gyllenhaal
Uscita

Forse, ci siamo entusiasmati troppo dieci anni fa, quando nei nostri cinema arrivava American Beauty. O forse no. Sinceramente, se ripenso a quel film, sono combattuto tra l'ammirazione per tante cose (per esempio, la bravura nel tirar fuori il meglio dagli attori, non solo un mostro come Kevin Spacey, ma anche interpreti poi scomparsi come Mena Suvari e Wes Bentley) e il fastidio per altre (una certa ruffianaggine condita da un po' di poesia a buon mercato, rappresentata benissimo dalla busta di plastica in volo).

Così, la sua carriera mi è sembrata come un modo di dimostrare sempre di più la sua valenza di autore, con eccessi seriosi che danneggiano le sue possibilità. In questo senso, Away We Go è quasi un anti Revolutionary Road, nel senso che dove quella pellicola tendeva verso eccessi melodrammatici quasi insostenibili/insopportabili, qui c'è una leggerezza decisamente superiore, anche se non priva di tendenze poetiche che avrei visto volentieri tagliate al montaggio.

Si inizia subito fortissimo, con un'esilarante scena a letto (tranquilli, nulla di eccitante) che predispone subito benissimo. E, per fortuna, si prosegue con tante situazioni e personaggi che risultano irresistibili. Meglio i genitori di lui (gli ottimi Catherine O'Hara e Jeff Daniels) o la sempre grandiosa Maggie Gyllenhaal, nei panni di una fanatica della liberazione sessuale e dell'educazione alternativa? Difficile scegliere, ma per fortuna non c'è assolutamente bisogno di farlo.

E' anche bello vedere un'America assolutamente poco glamour, ma senza neanche il compiacimento verso realtà difficili a cui ci ha abituato un certo cinema indipendente. E se la scena del trolley è veramente uno spasso, indimenticabile l'idea di mettere una bambina sullo sfondo che parla con uno sconosciuto e senza che nessuno se ne preoccupi. Così come è bello sentire una dichiarazione d'amore particolare e che certo non avremo modo di ascoltare in una pellicola di Moccia. Buon contributo anche dalla colonna sonora delicatissima e intelligente, opera di Alexi Murdoch, incredibilmente alla sua prima prova per il grande schermo.

Certo, a tratti emerge una certa noia, forse dovuta anche all'impressione che il tutto sia una riflessione personale del regista sulle scelte della propria vita (e chissà se il rapporto problematico con l'ex moglie Kate Winslet ha influito), con una bella dose di autoindulgenza. D'altronde, non è mai un bel segnale quando un film di un'ora e mezza sembra durare troppo.

Ma, alla fine, si ha l'impressione che sia un cinema più rilassato e autentico di quello che abbiamo visto negli ultimi tempi da parte di Sam Mendes. Insomma, forse è un percorso in salita, ma penso proprio che sia una strada da seguire...

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