Away (prima stagione): la recensione
Away, con Hilary Swank, racconta un'immaginaria prima, storica missione umana su Marte
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Away ha molto in comune, nel bene e nel male, con la serie The First, trasmessa da Hulu nel 2018. In entrambi i casi si tratta di serie che raccontano un'immaginaria prima, storica missione umana su Marte. La prospettiva della conquista del Pianeta Rosso, così affascinante di per sé, perché in fondo non così lontana, basterebbe da sola a dare forza al soggetto. Eppure, in entrambi i casi, il lato emotivo della vicenda si appoggia sui legami familiari degli astronauti, e su ciò che si sono dovuti lasciare alle spalle per poter partire. Ed è qualcosa che, almeno nel caso della serie Netflix, funziona a momenti alterni.
La partenza della serie è formidabile. Nessun prologo, o quasi, e nulla più da decidere. Tutto è pronto per la partenza della missione. Tecnica, talenti e posta in gioco sono discussi e sono al centro della trama, i personaggi parlano di quel che dovranno fare e la tensione del momento è palpabile. Il primo episodio ha anche il merito di gestire l'attesa per il lancio ponendo un grande conflitto per uno dei personaggi, una decisione sinceramente difficile e non scontata. Il secondo episodio è anche migliore e, senza anticipare nulla, costruisce una scena di grande tensione, niente affatto breve, ma capace di sintetizzare lo sforzo fisico, umano, ideale che si deve nascondere dietro una missione del genere.
Che non è necessariamente un male, ma ad esempio è lasciato grande spazio alle dinamiche della famiglia di Emma, slegate dalla missione. I problemi e i drammi personali si moltiplicano e colmano l'intero intreccio. Ogni personaggio è definito più dalle proprie esperienze e traumi pregressi – Away utilizza lo stesso meccanismo a flashback di Lost – che dal valore aggiunto che porta alla missione. E questo, pur non togliendo il piacere della visione da Away – che è comunque una serie gradevole e ben fatta – ne limita gli obiettivi.