Atomica Bionda, la recensione
Nel migliore dei contesti possibili Atomica Bionda muove Charlize Theron con un senso dell'azione orientale ma senza gli atleti che servirebbero
Come raccontato originariamente in The Coldest City, il fumetto di Anthony Johnston da cui nasce il film, nella settimana in cui verrà abbattuto il muro di Berlino le spie si stanno affrettando a sistemare gli ultimi affari prima che tutto il mondo cambi e quell’universo che dà loro un senso (la guerra fredda) collassi definitivamente. Leitch come già in John Wick crea un piccolo mondo popolato da professionisti della morte (lì erano sicari dandy che vivono come in una realtà parallela, in cui ogni elemento cittadino di notte si trasfigura e diventa qualcos’altro, un hotel è un porto franco, un garage un luogo d’azione e via dicendo), è la Berlino sull’orlo del cambiamento, un'unica grossa zona liminale che sembra la metropoli di un futuro distopico sempre lì lì per implodere, un centro che fa girare tutto intorno a sè e in cui nulla è certo, dove tutti stanno fuggendo, cambiando bandiera e lentamente ogni cosa si sta trasformando. Anche le piccole certezze sono messe in crisi e nello sfondo c’è sempre qualcosa di animato.
Ancora prima di arrivare alla parte centrale del film, cioè come gestisca l’azione e come inietti in un fumetto in bianco e nero disegnato guardando all’uso di luci e ombre di Sin City quella palette di colori fluo già sperimentati in John Wick (ma qui ritoccati per adattarsi al periodo), va detto che in loco l’agente trova un contatto, una spia che da anni lavora a Berlino Est e proprio per questo ha creato un suo regno. In assenza di un’ambasciata è senza guida, totalmente camuffato e inserito negli ambienti lui (James McAvoy, finalmente in parte) lì è un’autorità che non risponde a nessuno e probabilmente fa un gioco tutto suo. È insomma come se andasse a trovare il suo Kurtz di Apocalypse Now!, totalmente fuori controllo e pieno di obiettivi propri.
Di tutta quest’ottima materia Leitch fa un uso buono per quanto eccessivamente allungato. È chiaro che la sua concentrazione è sulle coreografie d’azione, ancora migliori, più complesse, inventive e tecniche di quelle di John Wick ma per questo anche un po’ stonate. Si ha sempre la sensazione che siano migliori le coreografie che l’esecuzione perché, di nuovo, a metterle in pratica è un’attrice e non un’atleta e a certi livelli di complessità la differenza comincia ad essere evidente. Lo sforzo è realmente ammirevole ma anche fuori dalla portata di Charlize Theron che non a caso il meglio lo dà nei primi piani tra un cazzotto e l’altro, quando rende quell’unione particolare che esiste tra dolore, fatica estrema e determinazione insopprimibile.
Forse allora proprio per questo Atomica Bionda trova la perfezione quando all’azione affianca l’attraversamento di Berlino Est in rotta di collisione con Berlino Ovest.
Benché a Leitch piaccia molto trovare nuovi modi di unire nella stessa inquadratura interni sofisticati, corpo di Charlize Theron, colori fluo e grande raffinatezza (intento che raggiunge l’apice quando la protagonista si fa un bagno nel ghiaccio davanti ad una finestra sulla città e beve della vodka) e benché Charlize Theron sia davvero impeccabile nel dar vita ad una spia senza anima nella quale noi abbiamo l’illusione di riuscire a vederne una, alla fine quel che di Atomica Bionda è seriamente memorabile è la città di spie fuori controllo che girano come formiche senza una guida nel momento in cui tutto sta per finire, quel caos e quel senso apocalittico della storia che incombe su tutti, sui fedeli servitori e su chi si è costruito un proprio regno, su chi trama e chi subisce le trame come il meraviglioso Eddie Marsan, qui spia vecchio stampo tutta impermeabile, occhiali, burocrazia e timore di morte. Un vero genio della recitazione che vediamo sempre troppo poco.