Atlantide, la recensione | Venezia 78
Atlantide, film di Yuri Ancarani, paga il prezzo della mancanza di una sceneggiatura ben ideata risultando confuso e incerto, seppur suggestivo
Yuri Ancarani porta con Atlantide gli spettatori nel mondo al maschile di un gruppo di adolescenti che vivono sull'isola di Sant'Erasmo, nella laguna di Venezia, unendo alcune scene che dimostrano una certa inventiva e originalità a, purtroppo, una sceneggiatura estremamente fragile e un susseguirsi di immagini affascinanti ma quasi irrilevanti. Il progetto sembra infatti molto incerto nel suo svolgimento, accostando momenti quasi psichedelici ad altri in cui i paesaggi sembrano essere semplicemente uno strumento utile per riempire gli spazi vuoti nella narrazione.
Il regista Yuri Ancarani ha svelato che il film è nato senza una vera sceneggiatura e questo dettaglio è evidente e rappresenta uno dei difetti principali di Atlantide che, nella prima parte, sembra quasi un docufilm dedicato alla vita dei ragazzi mostrati sullo schermo, ricordando quasi alcune opere di Andrea Segre, prima di spaziare in aspetti estetici e narrativi più ricercati, ma poco giustificati dalle basi della narrazione.
Il tentativo di rappresentare la realtà di una Venezia in continuo cambiamento attraverso l'espediente del passaggio dall'adolescenza all'età adulta usando un momento di violenza e l'esplorazione della sessualità che appare forzato e non convincente, pur essendo caratterizzato da alcune scene visivamente di grande impatto.
L'esperienza da videoartista di Ancarani emerge proprio negli aspettivi caratterizzati da una maggiore inventiva e ricercati, anche a livello cromatico. L'accostamento di generi e stili, tuttavia, non funziona nel migliore dei modi e l'inesperienza dei membri del cast di fronte alla telecamera causano ulteriori problemi al progetto.
La natura quasi ibrida sospesa tra documentario e finzione del film evidenzia i punti di forza e al tempo stesso quelli deboli del suo autore, molto attento anche dal punto di vista della fotografia.