Atlanta 2x01 "Alligator Man": la recensione

La recensione del primo episodio della seconda stagione di Atlanta, intitolato Alligator Man

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Spoiler Alert
C'era molta attesa nei confronti del ritorno di Atlanta, serie non esplosiva dal punto di vista dell'impatto sul pubblico, ma che certamente è riuscita ad imporsi, nel 2016, come una delle novità più interessanti dell'anno. Il talento di Donald Glover, che viene da Community e che vedremo presto al cinema in Solo, veniva consacrato come attore, scrittore, autore a tutto tondo di quella piccola serie di FX capace anche di vincere qualcosa ai Golden Globe. Dunque si ritorna ancora una volta nella città, tra quelle strade e quelle storie di presunta rivalsa, o piuttosto di illusione. Lo facciamo con una première ben scritta, senza sbavature, molto sottile, intitolata Alligator Man.

Ancora una volta alla regia e alla sceneggiatura c'è l'ottima coppia Hiro Murai e Donald Glover, e il fortunato sodalizio conferma le belle idee del primo anno. Si inizia con la scena di una rapina, in quella che è stata presentata come la Robbin' Season, concetto che verrà citato nello stesso episodio. Cruda quel tanto che basta, velata di quel realismo grottesco che è un marchio di fabbrica per la serie che mescola disagio sociale e esplosioni di creatività. In questo caso la rapina è il ponte che ci riconduce come una dichiarazione d'intenti nella città in cui in qualche modo tutti tentano di cavarsela.

Il centro dell'episodio è la tristezza e la solitudine di Earn, il personaggio interpretato da Donald Glover. Ancora una volta desideroso di fare da agente al cugino Alfred, che nel frattempo sembra passarsela benino con la sua carriera musicale. Lungo tutta la puntata corre questa sofferenza a malapena palpabile, qualcosa che emerge dalla corrente di parole e dalle azioni compiute dal personaggio, ma che non può mai essere confessata del tutto. Atlanta non spiega, ma lascia intuire. C'è un conflitto aperto tra Alfred e Darius, stretto collaboratore del primo, di cui non dovremo sapere i dettagli, anche se ci viene presentato come qualcosa di grosso. La cosa importante è che Earn si fa in quattro per tentare di risolvere l'astio tra i due, provando a inserirsi come pacificatore, e offrendosi di risolvere un problema con lo zio Willie, che avrebbe rapito una donna di nome Yvonne.

Earn si reca in casa dell'uomo e cerca di risolvere la situazione, confrontandosi con la polizia e addirittura con un alligatore. Arriva perfino a nascondere una pistola, purché tutto torni in ordine, perché sa che gestire situazioni di questo genere, spingersi all'eccesso, potrà aiutarlo a migliorare la sua condizione. Alla fine della giornata, tutta quella pesantezza – che comunque ci viene raccontata con una forte vena grottesca – ricade sulle spalle del giovane, con gli altri che praticamente gli ridono in faccia. Giusto il tempo di una domanda fugace su come vanno le cose, che si ritorna in strada a combattere per un altro giorno. Nulla di tutto questo è edificante, o particolarmente drammatico, o banale nella sua semplicità.

È la scrittura di Atlanta che avevamo già visto nella prima stagione, spogliata di sperimentalismi – ma di sicuro torneranno – ed essenziale nel suo fotografare con uno stile personale la piccola mediocre realtà dei protagonisti.

La seconda stagione di Atlanta va in onda dallo scorso 1 marzo su FX e prossimamente in Italia in esclusiva su Fox.

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