La recensione di Asterix & Obelix - Il regno di mezzo, in uscita al cinema il 2 febbraio
Non è una grande storia quella dei film in live action di Asterix e Obelix. Partiti nel 1999 con
Asterix e Obelix contro Cesare, all’epoca la produzione europea più imponente di sempre, con
Roberto Benigni fresco di Oscar,
Laetitia Casta, Gerard Depardieu e
Christian Clavier, è sempre stata una serie di delusioni più o meno grandi, in una costante picchiata verso il peggio lungo quattro film in dieci anni. Forse l’unica saga che in quattro film ha alternato tre attori nel ruolo protagonista (
Clavier, Clovis Cornillac e
Edouard Baer hanno interpretato Asterix) ora torna con un reboot che inizia guardando alla Cina, cioè al mercato emergente per il cinema, in ampio ritardo rispettando all’invasione dei film americani in territorio cinese degli anni ‘10.
In Asterix & Obelix - il regno di mezzo ci sono Guillaume Canet (anche regista) e Gilles Lellouche ad interpretare Asterix e Obelix, Vincent Cassel nel ruolo di Cesare e la comparsa di Marion Cotillard (moglie di Canet) in poche scene come Cleopatra. La storia è il viaggio dei protagonisti da una parte e dei romani dall’altra verso la Cina. I primi vogliono riportare la figlia dell’imperatrice cinese a casa e i secondi vogliono conquistare l’impero di mezzo. Di fatto la storia è spaccata in due ed è una serie di incontri e situazioni dei due viaggiatori con nessun arco reale. Questo fa sì che Cassel abbia il medesimo spazio dei protagonisti e che possa tranquillamente rubare loro la scena con un’interpretazione molto più decisa, molto più carismatica, divertente e interessante di quella camuffatissima e timida di Canet e Lellouche.
Ma sono briciole in un film sgangheratissimo che non ha bene idea di come fare un blockbuster, nel quale vengono iniettate questioni di femminismo e veganesimo come fossero i consueti modernismi che caratterizzano le storie di Asterix e Obelix, ma così mal gestiti da sembrare come se fossero state delle aggiunte forzate a cui nessuno crede. Come se. E se dal punto di vista della tenuta narrativa il film è un colabrodo, meglio non va alla sua idea di umorismo e intrattenimento.
Canet gestisce malissimo ritmo e soprattutto performance, così non c’è speranza di elevare una sceneggiatura già deficitaria di suo con almeno qualche prestazione che compensi. La piaga delle musiche che arrivano a raddoppiare quello che già avviene (Kung Fu Fighting in un momento in cui sì combatte con il kung fu) chiude il cerchio della tragedia e così alla fine può accadere che, dopo il Cesare di
Cassel, il migliore in campo sia
Zlatan Ibrahimovic nel rituale cameo di pochi minuti di un talent.
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