Assassin’s Creed, la recensione del film

Justin Kurzel, regista di Assassin’s Creed, riesce nell’impresa di regalarci una pellicola avvincente e divertente, godibile soprattutto dai fan del brand

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Non bisogna cedere alla facile tentazione di cercare in Assassin’s Creed qualcosa che non può, non vuole, non deve esserci. Non parliamo di un film che si è posto l’obiettivo di fissare nuovi record al botteghino, né di attrarre chissà quanti nuovi fan. Ubisoft stessa, chiamata in causa durante le fasi di produzione, è stata abbastanza chiara in merito, ribadendo anche in campo cinematografico l’importanza della libertà interpretativa concessa e soprattutto richiesta agli artisti con cui collabora. In campo videoludico lo abbiamo visto spesso, sia con titoli sulla falsariga di Child of Light, che con produzioni più mainstream ma comunque coraggiose come Rayman Origins. Ne abbiamo appunto una controprova con questo lungometraggio che porta a chiare lettere la firma del suo regista: un Justin Kurzel perfettamente calato nel ruolo di chi sa che ci dovrà mettere del proprio per raddrizzare una sceneggiatura che, per forza di cose, non può che essere piena di storture, forzature, paradossi.

Lo sa bene il fan di lunga data: Assassin’s Creed è difficile da spiegare, riassumere, spremere in poche frasi. Ci sono tante storie, molti filoni, innumerevoli personaggi che andrebbero citati, ricondotti nella propria dimensione, raccontati a partire da uno specifico background. La produzione Ubisoft, del resto, si muove attraverso le epoche, rileggendo in chiave sci-fi eventi storici e coinvolgendo personalità del calibro di Leonardo da Vinci e Nikola Tesla.

Eppure il piccolo miracolo, pur con qualche minuscola caduta di stile, mai fragorosa comunque, può dirsi riuscito. In un colpo solo, Justin Kurzel riesce a rendere digeribile l’eterna lotta tra Assassini e Templari praticamente a chiunque, con qualche strizzatina d’occhio ai videogiocatori navigati naturalmente, non lesinando su combattimenti e rocamboleschi inseguimenti a cavallo o sui tetti di una città spagnola nel periodo dell’Inquisizione.Assassin's Creed locandina

Tutto il film gioca su una dualità che ricorda in qualche modo quella del bellissimo film, il primo beninteso, ispirato a Silent Hill. Se nella pellicola diretta da Christophe Gans era il suono della sirena ad introdurre e veicolare l’anima prettamente horror della vicenda, quella che di fatto si sviluppava nell’Otherworld, in Assassin’s Creed la discesa, la trasmigrazione, avviene attraverso l’attivazione dell’Animus, portentoso congegno tecnologico che permette al protagonista, l’omicida Callum Lynch, interpretato da un atletico Michael Fassbender, di rivivere, in prima persona e in una sorta di realtà virtuale che tanto va di moda nell’industria videoludica contemporanea, le gesta di Aguilar de Nerha, suo antenato. L’abilissimo guerriero, ovviamente adepto dell’Ordine degli Assassini, è l’unico a conoscere l’esatta ubicazione della Mela di Adamo, manufatto che, stando agli scienziati della Abstergo Industries, ovviamente affiliata con i Templari, ha il potere di sopprimere il libero arbitrio dalla coscienza degli esseri umani.

Di sottofondo c’è questo filone distopico, che ritorna potentemente nel finale, ma che per quasi tutta la durata del film resta sommersa dal dramma familiare di Lynch, rimasto orfano in giovane età, e, ovviamente, dalle numerosissime scene d’azione.

Dicevamo della dualità, perché se nel presente la trama si sviluppa, pur timidamente, nella Spagna del 1492 c’è spazio solo per l’azione.  Ed è proprio in questi frangenti che la cifra stilistica di Justin Kurzel si esprime al meglio sia con una regia strepitosa, c’è un inseguimento a cavallo degno di Mad Max: Fury Road, sia con una fotografia forse fin troppo satura, ma certamente fascinosa.

La lunghissima catarsi del protagonista, vero epilogo dell’avventura, è l’emblema di un prodotto principalmente indirizzato ai fan, ma comunque comprensibile anche ai neofiti, con la perifrasi, per non dire spiegazione quasi letterale, del motto degli Assassini, in un dialogo che riprende prepotentemente le sfumature distopiche solo accennate in precedenza.

Peccato, dicevamo, per qualche sbavatura, per lo più imputabile ad una sceneggiatura poco accorta in certi passaggi, e ad una Marion Cotillard particolarmente sotto al par, evidentemente mai in parte, che rovina il finale simbolico del film, quello che ha l’unico scopo di sancire anche sul grande schermo (l’eterna) ciclicità degli scontri tra Assassini e Templari.

Come dicevamo in apertura, l’errore in cui si può incappare è quello di andare al cinema aspettandosi di trovare qualcosa che non c’è. Assassin’s Creed è puro intrattenimento, dotato di carattere e fedele alla fonte d’ispirazione, ma si tiene a debita distanza da certe tendenze inaugurate dai cinecomics Marvel, in termini di impatto scenico, o da quelle made in Nolan con la trilogia del Cavaliere Oscuro, dal punto di vista delle tematiche affrontate. C’è una spruzzatina di distopia, piacevolissima; delle scene d’azione coinvolgenti e ben dirette; c’è un protagonista ben caratterizzato; c’è il giusto tributo e al contempo la necessaria libertà artistica rispetto al brand di Ubisoft.

Ci si diverte, si apprezzano i riferimenti ai videogiochi della serie e, una volta riaccese le luci, ci si domanda se e quando ci sarà un secondo capitolo. Il che non è affatto poco, se ci si pensa.

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