Assassinio sul Nilo, la recensione

La nostra recensione di Assassinio sul Nilo, il secondo film di e con Kenneth Branagh sulle indagini di Poirot

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Assassinio sul Nilo, al cinema dal 10 febbraio

A lungo, troppo a lungo, in Assassinio sul Nilo non accade granché e il gancio che ci tiene avvinti sono i dialoghi e l’esotismo dell’ambientazione sul Nilo. Purtroppo, però, siamo di fronte a dialoghi poco coinvolgenti su blue screen scadenti. Spostandosi dal freddo dell’Orient Express al caldo dell’Egitto Branagh perde anche l’unica caratteristica che dava un senso alle sue trasposizioni di Agatha Christie: la creazione di palchi sempre nuovi e intriganti per i duetti tra attori. Assassinio sul Nilo è cartapesta digitale, sfondo fumettoso e troppo saturo di colori che non ha mai l’inventiva del grande illustratore ma più la banale routine dello studio di grafia delocalizzato. È il franchise che si mangia anche il romanzo di ispirazione per sopravvivere e creare la mitologia del proprio protagonista.

Il caso vero e proprio, infatti, inizia molto tardi rispetto a quello cui siamo abituati. Branagh fa del prologo e dell’introduzione la portata principale, lasciando per dessert omicidi e indagini, come non fossero centrali. Scopriamo il passato di Poirot, scopriamo i suoi gusti in fatto di donne, i suoi traumi e le sue incertezze. Tutto è una scusa per lui, in un film realizzato con tale leggerezza e poca cura che viene da chiedersi davvero quanta differenza ci sia con i film “in famiglia” di Adam Sandler, quelli in cui raduna un gruppo di attori e attrici di cui è amico e le loro famiglie per girare un film in vacanza con un cast di star che venderà biglietti a prescindere dalla storia.

In questo caso ci dovrebbe essere però almeno il blasone di Branagh a portare un po’ di classicismo nella messa in scena, invece non c’è nemmeno quello. Assassinio sul Nilo vuole essere moderno e commerciale senza sapere bene come farlo, e finendo ovviamente per essere l’imitazione di un film commerciale: esagera con il fumettoso, inietta tantissima computer grafica senza il garbo del precedente e piega la storia (ma soprattutto i personaggi) per strizzare l’occhio con scarsissima convinzione a temi d’attualità.  In questo senso poteva essere il terreno buono per chi con il fumettone è diventata una star come Gal Gadot che invece qui certifica di essere tanto perfetta e calzante nei panni di Wonder Woman quanto poco incisiva se il film non fa di tutto per esaltarla. Questo ruolo prominente in un film dal cast nutrito in cui ha pochi minuti di esposizione per creare un personaggio doveva essere una consacrazione invece è un fallimento.

Ad essere onesti va anche fatto notare che nessuno dei molti attori del film ne esce davvero bene, Assassinio sul Nilo è tutto sballato e tarato su toni contrastanti e mai affettati quando si parla di recitazione. L'unica eccezione è Emma Mackey, l'unica che fa il lavoro degli attori cioè prende una serie di contraddizioni che sono presenti sul copione e riesce a tenerle insieme creando un personaggio coerente che di quei contrasti ci vive (bella e pericolosa, ferita e pronta ad aggredire, vittima e carnefice al tempo stesso), addirittura trovando la maniera di mettere se stessa al centro di tutto.

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