Arrow 6x22, “The Ties That Bind”: la recensione

La nostra recensione del ventiduesimo episodio della sesta stagione di Arrow, intitolato "The Ties That Bind”

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Forse per la prima volta, un piano di Ricardo Diaz è fallito: il nuovo signore di Star City non è infatti riuscito a sbattere Oliver Queen in prigione. Conseguentemente, il "Drago" dà inizio alla sua vendetta, attaccando in contemporanea sia Green Arrow che tutti i suoi (ex?) alleati, con una potenza di fuoco virtualmente infinita.

I protettori della città devono dunque mettere da parte le loro divergenze e unire le forze contro il comune nemico, provando a sviluppare un'offensiva in grado di sconfiggere un avversario apparentemente invincibile.

The Ties That Bind, ventiduesimo e penultimo capitolo della sesta stagione di Arrow, è uno degli episodi più estrosi e assurdi dello show, specie sotto l'aspetto narrativo. La storia, infatti, è priva di un intreccio usuale, e manca di una struttura ordinata: in sostanza, non ci sono dei veri e propri atti, ma il racconto è concepito come un unico "blocco", sfaccettato e ondivago in termini di ritmo e sviluppo della narrazione, sia in senso (soprattutto) verticale, che orizzontale.

Che significa, tutto questo? Semplicemente che The Ties That Bind è un episodio eccezionalmente apprezzabile, specie se confrontato con la maggior parte di quelli che lo hanno preceduto. Questo capitolo della storia è infatti una vera e propria montagna russa emozionale: da un lato, è vero, manca di particolari twist narrativi e presenta una trama fin troppo lineare - al netto del finale, abbastanza sorprendente - ma dall'altro esprime a pieno il potenziale vero dello show, che lasciato in un certo senso alla deriva esplode in un vortice di azione e dinamismo.

Ad avercene avuti di episodi così, nella sesta, soffertissima, stagione di Arrow, avremmo assistito a tutta un'altra storia. The Ties That Bind è un continuo alternarsi di sequenze corali d'azione, quasi sempre scontri a fuoco, che dimostrano non solo un buon lavoro di coordinamento delle coreografie - bravi gli storyboarder, in questo caso - ma che soprattutto riesce a trovare una precisa posizione su di una virtuale scacchiera a tutti i principali protagonisti dello show, compresi quelli rimasti nelle retrovie negli ultimi tempi, o quelli che, sulla carta, non sono esattamente "skillati" per poter affrontare un combattimento.

La sensazione è quella che gli autori dovrebbero cercare, nella prossima stagione di Arrow, di continuare a cavalcare quest'onda vincente, al netto delle difficoltà "pratica" di una messinscena così "complessa". La sesta stagione della serie TV dimostra quanto sia sostanzialmente inutile cercare virtuosismi narrativi che non appartengono al DNA di di uno show come questo, e che lo vanno inesorabilmente a snaturare, privandolo di coerenza. In soldoni, non si può rendere tondo chi nasce quadrato: ve lo ricordate come la prima stagione di Arrow ci seppe sorprendere con bellissime - e violente - scene di azione che ci mostravano un vigilante oscuro e realistico? Bene, tornino a ricordarsene anche gli autori e vedremo tutto un altro spettacolo.

Al livello di easter egg, come in ogni penultimo episodio di ogni stagione di Arrow, il titolo del penultimo episodio va a omaggiare una canzone di Bruce Springesteen: in questo caso, The Ties That Bind è una canzone che il Boss ha registrato nel 1979 ed è stata pubblicata l'anno successivo come bravo d'apertura del doppio album The River.

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