Arrow 5×17, “Kapiushon”: la recensione

La nostra recensione del diciassettesimo episodio della quinta stagione di Arrow, intitolato “Kapiushon"

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Spoiler Alert
Il diciassettesimo episodio della quinta stagione di Arrow, intitolato Kapiushon e diretto da Kevin Tacharoeon, vede Oliver Queen prigioniero del suo avversario, Prometheus: il piano a lungo termine messo in piano dal villain si è rivelato perfetto, e ora il protagonista è alla mercé di Adrian Chase, quest'ultimo intenzionato a vendicarsi dell'omicidio di suo padre compiuto da Arrow in passato, torturandolo crudelmente per costringerlo a fare una misteriosa confessione.

Nel filone narrativo che si svolge cinque anni nel passato, in Russia, si compie il destino di Gregor e Anatoly viene nominato nuovo leader (pakhan) della Bratva, mentre Oliver si confronta una volta per tutte, almeno apparentemente, col diabolico Kovar, criminale deciso a mettere in atto una seconda rivoluzione russa.

In un episodio nel quale viene dato molto spazio alla risoluzione della storyline in flashback - senza però gli eventi presenti siano trascurati - la storia di questa annata raggiunge il suo climax più alto, il cui finale introduce direttamente in quello che sarà l'ultimo atto di questa quinta, valida, stagione di Arrow. Al contrario di quanto propostoci nello show solo l'anno scorso, stiamo adesso assistendo a uno spettacolo estremamente funzionale nella sua semplicità e linearità: niente "magia nera", niente villain con superpoteri, ma una narrazione improntata al realismo, con i protagonisti - sia "buoni" che "cattivi" - tutti alle prese con il limiti della propria umanità, immersi in un contesto urbano perfettamente caratterizzato e contaminato dal thriller e dal noir, oltre alla consueta buona dose di action: con queste coordinate a impostare la rotta, un personaggio come Green Arrow, vigilante e guerriero urbano, svetta dignitosamente - in tutto il suo tormento interiore - anche perché deve affrontare una controparte altrettanto credibile e all'altezza.

Lo scontro di muscoli, frecce, ma anche di menti tra il protagonista e Prometheus è il centro gravitazionale di una storia ben congegnata prima e scritta poi, che sta andando di fatto a sfruttare tutte le potenzialità di questo show, spesso depauperate in passato. Conseguentemente a un buon lavoro in fase di sceneggiatura, tutti gli altri compartimenti tecnici ne risentono favorevolmente, a partire da una regia precisa e dinamica - accademica ma senza sbavature - sino a un lavoro di montaggio che in Kapiushon in particolare è molto bilanciato e fluido nell'alternare a ripetizione sequenze narrative passate e presenti. Molto apprezzabile inoltre notare come molti fili lasciati in sospeso in passato, o magari semplicemente non spiegati del tutto, stiano ritornando nella quinta stagione, contribuendo a tessere un arazzo davvero molto gradevole. L'unica nota stonata, a voler trovare il proverbiale ago nel pagliaio, è una scenografia spesso carente, in particolare per ciò che concerne le ambientazioni sovietiche.

Per quanto Stephen Amell non sarà probabilmente mai ricordato come uno dei più grandi attori della sua generazione, e venga spesso accusato di essere il classico "belloccio" privo di particolari doti recitative, in Kapiushon fornisce un'interpretazione distinta e più che partecipata, e per ciò si merita un plauso.

Tolti i riferimenti ai personaggi di Slade Wilson alias Deathstroke e Anthony Ivo apparsi precedentemente in Arrow, così come nei fumetti DC, i riferimenti contenuti in questo episodio sono extra-comics, a partire dalla citazione del mito di Prometeo, titano amico dell'uomo che sfidò il volere e la tracotanza degli déi, rubandone il fuoco sacro per concederlo all'umanità, venendo poi sottoposto a un'infinita e terribile tortura a causa del suo gesto.

Kapiushon, titolo di questo capitolo di Arrow, è il modo con cui gli uomini di Kovar sono soliti chiamare il vigilante in verde sotto il cui cappuccio si nasconde Oliver: "kapiushon" non è altro che l'inglesizzazione della parola russa che sta proprio a significare "cappuccio". Sempre in ambito di lingua sovietica, il motto "samovol'shchnia" è traducibile come "fa' come desideri", che ebbe un importante e simbolico significato nel corso della Rivoluzione Russa del 1917, nella quale il popolo insorse contro lo zar e l'aristocrazia, lottando per la propria libertà.

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