Army Of The Dead, la recensione

Il film più spensierato di Zack Snyder parte da presupposti quasi identici a Peninsula. Certo Army Of The Dead ha una sega circolare...

Critico e giornalista cinematografico


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Army Of The Dead, la recensione

Stavolta Zack Snyder ha nel mirino il Michael Bay di Armageddon e la banda eterogenea di sbandati in una missione mortale affrontata con scanzonato piacere. Lasciati per strada anche quei pochi ed economici riferimenti agli zombie tradizionali che caratterizzavano L’alba dei morti viventi ora Army Of The Dead è una visione nuova e originale. O almeno originale come lo può essere oggi un film di zombie con una sinossi molto molto vicina a quella del quasi contemporaneo e meno riuscito Peninsula (addirittura anche motivazioni e traumi del protagonista si sono già visti lì). Gli zombie sono tutti chiusi in una recintata Las Vegas, l’hanno invasa e i vivi hanno creato una barriera artificiale perché il contagio non si diffondesse. Sono anni che stanno là dentro e adesso il governo getterà l’atomica per chiudere la questione. Un miliardario giapponese contatta un manipolo di disperati (ma armati fino ai denti con un passato di lotta agli zombie) per recuperare un monte di denaro impressionante rimasto in città a invasione iniziata.

Che cosa abbiano nel loro passato questi paramilitari lo scopriamo nella classica apertura snyderiana, il marchio di stile più evidente dei suoi film, un passaggio quasi obbligato e sempre estremamente godibile da cui capiamo stile, tono e trama del film che seguirà. È come sempre un corto muto, stavolta con musica di Elvis, fatto di grandi ellissi e ralenti nei cui pochi minuti capiamo l’origine dell’epidemia, i problemi dei personaggi, le esperienze che li hanno segnati e non ultimo che Army Of The Dead non avrà la gravitas che solitamente caratterizza i film di Zack Snyder, anzi. Questo film spensierato scambia il peso dell’epica con la leggerezza dell’avventura a buon mercato, baratta i ralenti enfatici con la tensione. E lo fa bene, lavorando sui brani musicali (finalmente qualcuno usa il brano dei Cranberries!), sulle caratteristiche di Las Vegas, i topoi dei film di rapina e su un gusto e una bramosia per il denaro che ben si accoppiano al fare spensierato.

Per la prima volta in carriera anche direttore della fotografia di un suo lungometraggio Zack Snyder cura un po’ meno del solito la capacità sincretica delle proprie immagini e si dedica invece al piacere epidermico del design d’azione. Army Of The Dead è escapismo, tanto per il pubblico quanto per lui, in fuga dai soliti film (e di nuovo fa ridere dirlo per un film su un tema da lui già affrontato e con una trama non proprio originale) e in corsa per fare azione vecchio stampo. Non c’è niente infatti in questo viaggio tra tradimenti, inganni, doppi giochi e una rinnovata mitologia degli zombie (come i detenuti di 1997: Fuga da New York hanno creato una gerarchia nel loro regno) che non sia dolcemente prevedibile e il piacere che Snyder rincorre (e raggiunge) non sta nello stupore ma nel gore. Con una progressione non male che fa incontrare ai protagonisti prima gli zombie romeriani (lenti e stupidi) poi quelli atletici e corridori di inizio anni 2000 e solo infine la nuova tipologia (gli alfa), Army Of The Dead mette in scena la mitologia nel suo complesso, creando ordini, priorità e gerarchie, con l’intento di regalare soddisfazione da B movie a pacchi massacrando zombie con una sega circolare immensa che sembra uscita da un finto film di serie B in una sceneggiatura di Tarantino.

Dispiace semmai che in questa storia di una squadra speciale tra Cameron e Bay, il gigantesco protagonista Dave Bautista sia sottosfruttato in una parte generica e non tagliata sulla sua dimensione e sulle sue possibilità (ben superiori al resto degli attori d’azione). Army Of The Dead palesemente non è la versione migliore possibile della propria idea, ma è un film che lavora benissimo sulle sensazioni primarie, diverte, eccita e sottrae ogni pensosità al genere riportandolo alla missione originale.

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