Argentina 1985, la recensione

Filtrando il racconto storico con una brillante alternanza di dramma e commedia, Argentina 1985 colpisce nel segno e arriva al cuore

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La nostra recensione di Argentina 1985, il film di Santiago Mitre in concorso al 79° Festival di Venezia

Diciamo la verità: sulla carta, questo Argentina 1985 aveva tutte le caratteristiche più tipiche del dramma storico. Incentrato sull’epocale processo alla giunta militare responsabile, sotto dittatura, di innumerevoli rapimenti, torture e sparizioni ai danni del popolo argentino, al film del quarantunenne Santiago Mitre (Paulina, Il Presidente) bastano invece pochi minuti per tradire le aspettative del pubblico.

La chiave per la brillante riuscita del film risiede nella sapiente scelta, da parte di Mitre, di raccontare una storia ben nota, più volte trasposta sullo schermo (tornano alla mente Garage Olimpo e Hijos di Bechis, così come Il Segreto dei Suoi Occhi di Campanella) con toni del tutto freschi e nuovi. Sin dalle prime scene, Argentina 1985 si scrolla di dosso la polverosa patina della pedissequa ricostruzione filologica in favore di un’atmosfera più lieve e briosa; una scelta eccelsa e sempre coerente, che costella l’opera di Mitre di un umorismo frizzante, eppur sempre mirabilmente calibrato.

Nel rispetto del dramma

Non c’è sbavatura nelle due ore e venti di Argentina 1985, capaci di veicolare il racconto di una svolta storica decisiva per il paese attraverso il vivido, tenero ritratto di coloro che portarono alla condanna della giunta militare. Magnifico comandante di questa squadra di bizzarri eroi è il procuratore Julio “Loco” Strassera (Ricardo Darín), inizialmente impegnato in un’esilarante schivata dell’incarico; aiutato dallo zelante assistente Luis Moreno Ocampo (Peter Lanzani) e da un gruppo di giovani alle prime armi, Strassera riesce a far fronte alle minacce subite dalla sua famiglia e iniziare un percorso di giustizia per tutte le vittime della dittatura militare.

La scrittura riluce di trovate cinematograficamente potentissime (il colloquio agli impiegati della Procura, il confronto finale tra Julio e il figlioletto Javi). Alle indagini e alla parte strettamente giudiziaria si alterna con sapienza quella incentrata sulla vita privata di Strassera, foriera dei suddetti accenni comici che, tuttavia, non vanno mai a intaccare la solidità drammatica dell’evento storico che Mitra vuole ricordare. Un equilibrio difficile, sostenuto magistralmente dall’eccelso Darín e da tutti i comprimari, fini orchestrali di un concerto privo di stonature.

Le virtù della finzione

Si potrebbe forse imputare ad Argentina 1985 una certa voglia di compiacere il pubblico attraverso il filtro consapevolmente emozionante del romanzo. L’operazione viene però condotta con un’onestà intellettuale e poetica assolutamente adamantina; non c’è mai pretesa documentaristica, neppure nelle riprese del processo palesemente ricreate ad arte. Tutto, nel film di Mitre, è messinscena dichiarata, a partire dalla costruzione di un nucleo familiare di perfetta eterogeneità drammatica.

Eppure, anche in ciò Argentina 1985 eccelle; la volontà di romanzare è cristallina, addirittura enunciata in una scena che prelude alla stesura dell’arringa finale di Strassera. Cercando consiglio dall’amico teatrante Somigliana (Claudio Da Passano), il procuratore ne ottiene una dritta fondamentale per la riuscita del suo accorato appello; un invito alla vivace drammatizzazione, che diviene - tanto nell’arringa quanto in tutto Argentina 1985 - strumento di divulgazione e rivendicazione di giustizia. Bravo, bravissimo Mitre; questa sua lezione - di cinema e di Storia - si mantiene lontana anni luce dal freddo nozionismo fine a sé stesso. E, nel far ciò, arriva dritta al cuore.

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