Archive 81 – Universi alternativi (prima stagione): la recensione della serie Netflix

Archive 81 – Universi alternativio, in arrivo il 14 gennaio su Netflix, è un adorabile pasticcio horror sospeso tra found footage e tentazioni autoriali, che perde la strada proprio sul finale

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Spoiler Alert
Archive 81 – Universi alternativi, la recensione della prima stagione della serie Netflix

“Troppo lenta”. “Non succede nulla”. “Non si capisce niente”. “Il found footage ha stufato”. Se vi riconoscete anche in una sola di queste quattro frasi, se le usate con una certa frequenza per criticare opere che non vi piacciono, è assai probabile che Archive 81 – Universi paralleli non faccia per voi. Nata da un podcast al quale si ispira cambiandone però parecchi dettagli, creata da Rebecca Sonnenshine (The Vampire Diaries), prodotta tra l’altro dalla Atomic Monsters di James Wan e appena arrivata su Netflix, la serie si colloca nell’ideale spazio creativo che sta tra le tentazioni weird-autoriali della recente Al nuovo gusto di ciliegia e l’horror più classico “da sala”, con giusto una spruzzata teen (Fear Street, per esempio, e ovviamente Stranger Things). Lo fa con coraggio, ambizione e totale sprezzo del pericolo, e riesce a tenere il punto quasi fino alla fine – ma rimane un prodotto imperfetto e soprattutto ostico, che difficilmente conoscerà il successo degli altri franchise citati.

Non credete ai trailer, ai poster, ai materiali promozionali e a quello che leggete in giro: Archive 81 – Universi paralleli non è una serie found footage. È piuttosto una serie sul found footage, sull’idea di recuperare vecchie testimonianze video grezze e disorganizzate e ridare loro vita, e soprattutto un ordine e un senso. È la storia di Dan (Mamoudou Athie), archivista di mestiere al quale viene fatta un’offerta che non potrà rifiutare: 100.000$ in cambio di un lavoro di restauro di vecchi nastri risalenti al 1994 – incarico che, un po’ alla Shining, andrà svolto in una capanna isolata nei boschi delle Catskills. Ma è anche la storia di Melody (Dina Shihabi), la ragazza che ha girato quei nastri e che è morta nell’incendio che ha distrutto i Visser Apartments, un megacondominio in centro a New York costruito sulle ceneri di un’altra villa a sua volta rasa al suolo dalle fiamme qualche decennio prima.

Archive 81 - Universi alternativi Dan
Dan e Melody esistono in due piani temporali separati, ma essendo Archive 81 – Universi paralleli una serie che tratta di soprannaturale non dovrebbe sconvolgervi sapere che in qualche modo le loro esistenze si intrecceranno. I dettagli di questo incontro si dipanano con glaciale lentezza nel corso degli otto episodi che compongono la serie e che, in barba a ogni regola di buon senso, è strutturata come il più lento degli slow burn. Soprattutto all’inizio, Archive 81 è una serie che va abitata più che vista; ci sono lunghe sequenze di pura pornografia archivistica, nelle quali vediamo Dan maneggiare quei nastri, pulirli, ripararli e poi infine vederli. Sono la testimonianza del progetto universitario di Melody, che sta girando una oral history del palazzo, e sono quindi piccoli sprazzi di vita quotidiana, dettagli inutili, interviste a residenti che non portano da nessuna parte.

O quasi, perché ovviamente i nastri nascondono qualcosa di più, e scoprire tutta la verità dietro al Visser è anche più interessante dell’esplorazione del rapporto tra Dan e Melody, o tra la giovane e la sua coinquilina Anabelle (Julia Chan). Tematicamente Archive 81 – Universi alternativi si muove in più o meno tutte le direzioni contemporaneamente: la vita di Melody al Visser e le sue relazioni con il vicinato rimandano a Rosemary’s Baby, per esempio, ma nel corso degli episodi si parlerà anche di stregoneria, magia nera, demoni, universi paralleli, società segrete, poteri forti, fantasmi dal passato. E qui va riconosciuto a Rebecca Sonnenshine il merito di aver dosato la somministrazione di questa insalata di sottogeneri. Non c’è accumulo in Archive 81, piuttosto una compartimentazione dei temi che si riflette anche nella struttura degli episodi: i primi due sono dedicati a Dan e alla sua costruzione del found footage, i successivi due alla setta, e così via.

Kvlto
Non è un caso che ogni sterzata tonale corrisponda anche con un cambio in cabina di regia: segnaliamo in particolare due episodi diretti da Justin Benson e Aaron Moorhead, sottovalutatissima coppia di registi autori di alcuni dei migliori horror degli ultimi anni (Resolution, Spring, The Endless). Archive 81 va quindi incontro anche a un’evoluzione stilistica oltre che narrativa, anch’essa ben misurata e spalmata con cura nel corso degli otto episodi. Ovviamente non tutto funziona allo stesso modo – e qui viene fuori il più grande problema della serie, problema peraltro condiviso con una pletora di altri horror che partono con mille idee ambiziose ma non riescono a tirare le fila in maniera soddisfacente.

Il più grande problema di Archive 81 – Universi alternativi è che a un certo punto deve finire. E quindi tutte le parentesi aperte vanno chiuse, tutti i fili narrativi annodati, tutte le promesse dei primi episodi mantenute con un climax all’altezza. E purtroppo qui Archive 81 fallisce. Un po’ per troppa fretta: accumulare materiale per sette episodi e provare a risolverlo tutto nell’ottavo è un’impresa titanica e quasi sempre destinata al fallimento. Un po’ perché crolla anche stilisticamente: gli ultimi due episodi, per esempio, sono piagati da difetti di montaggio inesistenti nel resto della serie. Un po’ perché la serie è intrisa di un’aria quasi lovecraftiana che fa presagire un finale cosmico in tutte le accezioni del termine, un cazzotto in faccia che si rivela invece quasi una carezza, o alla peggio un buffetto; l’ottavo episodio in particolare scade in un paio di momenti nel ridicolo involontario, anche a causa di un’effettistica da Stargate francamente fuori luogo.

Dan Mark
È un peccato perché Archive 81 – Universi alternativi è una grande storia horror e lo rimane fin quasi al traguardo – dove però inciampa, sgambettata dalle sue stesse ambizioni e da promesse forse impossibili da mantenere. Ci consoliamo pensando che, a meno di disastri in termini di engagement, ci attende una seconda stagione: siamo curiosi di vedere come proseguirà la storia, e crediamo anche che possa essere, per tutto il reparto creativo, un’ottima occasione per imparare dai propri errori.

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