April, la recensione: in Georgia nessuno può sentirti urlare

La storia di una dottoressa che aiuta donne e ragazze a non avere figli diventa un supplizio di silenzi in un film che non sa comunicare quel che vuole

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un mostro che si aggira in questo film, un corpo di donna avvizzito, deforme, con un volto privo di tratti somatici. È un mostro che arranca e si muove a stento, una creatura di fantasia che entra nel film in piccole e brevi scene separate dal resto. È l’interiorità della protagonista? È il mostro che si porta dentro? È quello che teme per sé? Non solo non si sa (che figuriamoci, va benissimo), ma non interessa nemmeno al film buttare giù delle piste interpretative per gli spettatori. È la prima di molte irritanti scelte che fa April, storia di una donna, una dottoressa, che aiuta altre donne ad abortire di nascosto, che prescrive pillole anticoncezionali alle ragazze di nascosto e fa di tutto per aiutare chi non vuole avere figli.

Questo le costa sia umanamente che poi lavorativamente, perché in Georgia tutto ciò non è visto di buon occhio e anche le persone comuni, quando lo scoprono, le portano rancore. Lei però non solo continua con un atteggiamento oppositivo di poche parole e molta testardaggine, come se questa fosse una questione personale, come se avesse un conto da regolare, ma il film glielo fa fare nel nulla.

April è il tipo di film in cui il vuoto domina. Vuoto dei silenzi. Vuoto degli spazi e dei paesaggi muti che ci viene proposto di guardare per interminabili secondi, senza avere niente in cambio. Non un momento di vera commozione, non un’idea che ne aumenti il senso e nemmeno delle belle inquadrature piene di mistero in cui perdersi, come nei film di Lav Diaz, in cui la fissità non è immobilismo o interruzione di narrazione, ma una specie di strana dimensione alternativa, nella quale lo sguardo indaga anche per decine di minuti la stessa immagine traendone sempre qualcosa di nuovo.

April è un film con una chiara idea politica e degli intenti battaglieri, con una protagonista che sta lì per mettere in questione molto della femminilità (ha anche un rapporto con il suo corpo, la nudità e poi il sesso che è particolare) ma che in ultima analisi tutto questo non lo sa raccontare. Vorrebbe farlo in maniera astratta ed elevata, mettendolo sullo sfondo di qualcosa di più grande e universale, ma non ha proprio i mezzi per concepire delle immagini che, associate, messe sullo schermo o magari anche solo evocate possano fare questo lavoro. Tantomeno la capacità di dirigere gli attori perché possano supplire. Ed è solo un supplizio.

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