Apples, la recensione | Venezia 77

Con un piglio (e una trama) da Yorgos Lanthimos, Apples cerca di raccontare la morte dell'autenticità tramite la memoria ma non ci riesce

Critico e giornalista cinematografico


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C’è qualcosa di te che alla società non va bene. Un tuo problema sta creando un problema alla comunità e quindi lo stato prima ti confina e poi cerca di riprogrammarti una vita. Specie dal punto di vista sentimentale. E tutto questo è quasi più grottesco che triste.
Era questo, molto in sintesi, lo spunto di The Lobster di Yorgos Lanthimos (in cui non essere accoppiati portava al confinamento in un centro dove trovare un’anima gemella o finire trasformati in animali) ed è di nuovo lo scheletro di quest’altro film greco, di Christos Nikou però, che di Lanthimos è stato assistente alla regia sul set di Dogtooth (lo è stato anche di Linklater su quello di Before Midnight ma non se ne avverte l'influenza).

In questo film che apre la sezione Orizzonti a muovere tutto è l’amnesia. Il protagonista (come buona parte della popolazione nel film) è colpito da un’amnesia improvvisa. Non ricorda più nulla di sé e della sua vita, viene portato in ospedale per accertamenti e, siccome non può essere riportato a casa (perché non sa quale sia), attende che qualcuno lo venga a prendere. Non presentandosi nessuno dopo qualche giorno è spedito in un centro assieme a tutti quelli che nessun parente o amico ha reclamato. Lì viene preparato per una nuova vita da una coppia di medici che gli danno in una nuova casa e tramite messaggi audio gli dicono passo passo e giorno per giorno cosa fare e come comportarsi per tornare ad una nuova vita. Inclusi consigli sentimentali.

Non solo la trama ma anche il mondo filmico in cui si muovono i personaggi, cioè quel misto di stile di messa in scena, tono della recitazione, fotografia e camera work (quasi inesistente) che danno una personalità al film e alla società che racconta, sembra quello in cui si muove Lanthimos. Un mondo dove i sentimenti sembrano non esistere più e quei pochi residui che i personaggi cercano sono frustrati dalle azioni grottesche degli altri.

Nonostante tutto questo Apples non è mai davvero il film di Lanthimos che vorrebbe essere. Non solo non ne ha l’ironia stralunata, ma soprattutto non ha la sua capacità di essere meschino e distante, quel modo di infierire su dei personaggi miserabili (qui al contrario i protagonisti invece sono ammirevoli) e creare un senso dalle vane peregrinazioni altrui. Apples in realtà vuole riflettere su molte cose, e tutte estremamente banali. L’idea della memoria contemporanea frutto dell’evoluzione tecnologica a scapito dell’elevazione dello spirito è portata avanti con un complesso di simbolismi elementari, senza contare che anche l’idea della fatica nell’adeguarsi ai dettami della società moderna è portata con sfacciata convenzionalità.

Con pochissima capacità di divertire (quando fa dell’ironia) e di coinvolgere (in tutto il resto del film) Apples fatica assieme agli spettatori ad arrivare alla fine. E quando ci arriva viene da chiedersi il perché di tutto questo arrancare. Pure il simbolo centrale di tutto, le mele del titolo, ovvero il frutto che aiuta la memoria che il protagonista cerca oppure rifiuta, a seconda che desideri tornare a ricordare la vecchia vita o pensi di volersi ambientare in quella nuova, è sfruttato solo per illustrare i cambi di idea e mai per creare senso.

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