Apollo 10 e mezzo, la recensione
Unendo la Storia all’immaginazione, Linklater riflette con Apollo 10 e mezzo non tanto sul senso in sé di un’epoca ma sulla potenza che hanno la nostra percezione e il nostro sguardo nel determinare ciò che riteniamo reale, vero ed importante.
È tutto un gioco di memorie infantili rievocate nei minimi dettagli, in un’estate storica del 1969 nella periferia di Houston, e al contempo di ricordi immaginati e impossibili - una missione della NASA affidata al decenne protagonista, Stan - il nuovo e bellissimo film di Richard Linklater Apollo 10 e mezzo. Lontano dall’iperrealismo di Boyhood, Linklater riconferma però, stavolta passando per l’animazione, una poetica della meraviglia, dedita a trovare con l’aiuto del cinema il senso elastico del tempo e la bellezza di ciò che si fa ricordo.
Apollo 10 e mezzo è un film dal respiro piccolissimo, dall’atmosfera famigliare e dall’andamento sognante, ma è proprio nella dimensione della vivida rievocazione che trova il suo senso più intimo. Partendo dalla voce narrante di uno Stan adulto - alter ego finzionale e in qualche misura autobiografico del regista - Linklater procede a ritroso per lunga parte del film (quasi metà), destreggiandosi con estrema libertà in una galleria di piccoli eventi e innumerevoli dettagli: i giochi con i cinque fratelli e i vicini di casa, le abitudini dei genitori, i rituali della domenica sera, i programmi televisivi, i film, i dischi, il cibo… macro e micro e ambiti diversi si mescolano in continuazione con una fluidità disarmante, coinvolgendoci nel racconto di un’infanzia stupenda - proprio perché ottimista - di cui Linklater ci fa sentire una profonda nostalgia.
Unendo in questo modo la Storia - lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11 - all’immaginazione, Linklater riflette con Apollo 10 e mezzo non tanto sul senso in sé di un’epoca ma sulla potenza che hanno la nostra percezione e il nostro sguardo nel determinare ciò che riteniamo reale, vero ed importante. Lo fa con una semplicità disarmante, concludendo questa favoletta con un’affermazione forse banale ma perfettamente coerente con tutto ciò che abbiamo visto: “così funziona la memoria, ti crea ricordi anche quando non ne sei testimone diretto”.
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