Anywhere Anytime, la recensione: un remake di Ladri di biciclette forse non è una grande idea

Per raccontare della condizione di un ragazzo straniero in italia Anywhere Anytime sceglie di riprendere fedelmente la struttura di De Sica ma non ne ha le capacità

Critico e giornalista cinematografico


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Possiamo dire, con il beneficio del senno di poi, che non sia stata proprio una grande idea rifare Ladri di biciclette, aggiornandolo al presente con un rider come protagonista, nessun figlio e quindi un intento politico molto più palese perché non affiancato da altro. Non lo è stata prima di tutto perché Milad Tangshir (iraniano che ha studiato cinema in Italia) non è in grado tecnicamente di affrontare questo tipo di film né di replicare i punti di forza di Ladri di biciclette, anche solo in scala ridotta. Anywhere Anytime ha quasi tutto del film di De Sica nella struttura e assolutamente niente negli esiti. Che comunque anche questo non era facile.

Il primo fallimento, forse il maggiore, è non essere riuscito a far recitare i protagonisti, né essere riuscito a tirare fuori un po’ di verità dalla loro presenza, che poi è la ragione principale per cui vengono scelte persone quanto più vicine ai personaggi. Il secondo è il fatto che, nonostante ci sia una componente di mancato aiuto da parte delle persone intorno al protagonista, non si avverte mai il profondo senso di ingiustizia che dovrebbe scatenare, e questo perché il film non sa comunicarlo. Terzo, nonostante tutto il film sia girato in strada, a Torino, camminando e spostandosi per la città, non si percepisce mai lo sfondo (che era cruciale in Ladri di biciclette), perché questo non riesce mai a essere significativo. Siamo a Torino ma potrebbe essere ovunque.

La tragedia di Anywhere Anytime è che se si esclude la figura del figlio (che non c’è), è anche un remake molto fedele: traduce nel mondo moderno le medesime scene, eliminando totalmente le parti leggere (che errore!) e sbagliando tutto lo sbagliabile nei calchi. Il confronto diretto (che è questo film a stimolare!) è impietoso. La scena della mensa con inseguimento ad esempio, è incapace di rubare facce vere e raccontare un mondo, o dare uno squarcio su una realtà più complicata (nell’originale c’erano anche nobili e ricchi che andavano a fare la barba ai senzatetto).

L’idea migliore di tutto il film è che un oggetto volatile come una bicicletta faccia tutta la differenza tra la possibilità di esistere e no, perfetto simbolo di una vita in bilico. Ma non è di Tangshir, è ovviamente di Ladri di biciclette. Anywhere Anytime la incastra in una serie di dialoghi allucinanti, non tanto per contenuti ma per la forma scelta. E anche l’unica possibilità offerta dal presente e dal setting scelto, cioè il fatto che il lavoro in Ladri di biciclette veniva dallo Stato e che esisteva una rete per quanto precaria intorno al protagonista, mentre oggi il protagonista è più solo che mai, non viene colta né mai affrontata. Giusto la chiusa, aggiunta, in cui capiamo che gli eventi vissuti non abbandoneranno mai il protagonista ha, almeno, un senso.

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