Anywhere Anytime, la recensione: un remake di Ladri di biciclette forse non è una grande idea
Per raccontare della condizione di un ragazzo straniero in italia Anywhere Anytime sceglie di riprendere fedelmente la struttura di De Sica ma non ne ha le capacità
Possiamo dire, con il beneficio del senno di poi, che non sia stata proprio una grande idea rifare Ladri di biciclette, aggiornandolo al presente con un rider come protagonista, nessun figlio e quindi un intento politico molto più palese perché non affiancato da altro. Non lo è stata prima di tutto perché Milad Tangshir (iraniano che ha studiato cinema in Italia) non è in grado tecnicamente di affrontare questo tipo di film né di replicare i punti di forza di Ladri di biciclette, anche solo in scala ridotta. Anywhere Anytime ha quasi tutto del film di De Sica nella struttura e assolutamente niente negli esiti. Che comunque anche questo non era facile.
La tragedia di Anywhere Anytime è che se si esclude la figura del figlio (che non c’è), è anche un remake molto fedele: traduce nel mondo moderno le medesime scene, eliminando totalmente le parti leggere (che errore!) e sbagliando tutto lo sbagliabile nei calchi. Il confronto diretto (che è questo film a stimolare!) è impietoso. La scena della mensa con inseguimento ad esempio, è incapace di rubare facce vere e raccontare un mondo, o dare uno squarcio su una realtà più complicata (nell’originale c’erano anche nobili e ricchi che andavano a fare la barba ai senzatetto).