Antipop, la recensione
Attraverso i video e le storie intorno alla gavetta di Cosmo, Antipop fa un racconto estremamente intimo di musica, provincia e aspirazioni
La recensione di Antipop, il documentario di Jacopo Farina su Cosmo, disponibile dal 1° marzo su Mubi
C’è uno tono in Antipop così confidenziale, così ravvicinato e così nudo, da superare già nei primi minuti la barriera dell’autoagiografia (in fondo è pur sempre un documentario con Cosmo su Cosmo) e creare un’atmosfera intima molto più adatta alle case che alle sale cinematografiche. Merito della grande quantità di materiale video amatoriale proveniente dalla vita di Cosmo, dalla fase in cui era giovane adulto fino a oggi, ma merito anche della maniera in cui Jacopo Farina lo assembla e usa la voce fuori campo dello stesso Cosmo. Tutto insieme crea uno storytelling dalla scorrevolezza realmente stupefacente, più vicino alla confessione che al documentario con teste parlanti (che pure non mancano), più simile all’intervista confidenziale che alla grande celebrazione (che pure tra le righe passa).
In questa maniera, organizzando così la narrazione, coinvolgendo così tanto e avvicinando con questa dolcezza lo spettatore al protagonista quando il successo, che chiunque guardi sa che deve arrivare, alla fine arriva, stranamente non è scontato. È reale. E si materializza la stesa impressione che il cinema di finzione sa creare, l’illusione di essersi così immedesimati nel protagonista della storia da riuscire a sentire i suoi sentimenti insieme a lui. La soddisfazione per avercela fatta senza l’esplosione dell’entusiasmo giovanile ma con la commozione mesta di chi pensava che quel momento non sarebbe più arrivato. E tra le molte possibili identità da costruire intorno a un artista, questa è una delle meno ascoltate e più convincenti.