Anselm, la recensione

Le opere di Anselm Kiefer diventa per Wenders una maniera per raccontare il temperamento artistico e continuare a sperimentare il 3D

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Anselm, il film in tre dimensioni di Wim Wenders in uscita in sala il 30 aprile

Per Wim Wenders il 3D è un dispositivo per il racconto dell’arte. Lo aveva fatto con Pina 3D, con Cattedrali della cultura 3D e ora lo rifà ora con Anselm (di nuovo il nome di battesimo nel titolo). Si parla di Anselm Kiefer e delle sue opere, della sua vita e del racconto di come questo pittore e scultore tedesco abbia lavorato a lungo sulla persistenza della memoria della mitologia nazista, in decadi in cui aveva l’impressione che esistesse la volontà di dimenticare. 

La cosa importante è che Anselm non è mai un documentario di divulgazione, anche quando ne incorpora alcuni tratti tipici o pezzi di racconto, quando ne imita il biografismo e una maniera di procedere di opera in opera, spiegandone le origini e dichiarandone gli intenti. Eppure è anche sempre molto evidente come per Wenders conti molto di più il cinema e quello che l’indagine dei dipinti giganteschi di Kiefer, ripresi in 3D, possa dire sul cinema come macchina della documentazione e della creazione di senso. È insomma più una forma di critica d’arte che di narrazione, una fatta con un’altra forma di produzione artistica, e una in cui nel sottofondo sembra sempre di poter sentire: “Che cose incredibili che si possono fare con il cinema, no? Non ci sono confini, non ci sono limiti!”. Più interessante che appassionante.

Il 3D di Wenders è infatti sempre profondo, sempre evidente, non per forza dosato ma massiccio e ostentato, è una macchina di realismo, in teoria, un modo per poter percepire profondità non nelle storie (i suoi film di finzione in 3D sono minori) ma nella ricostruzione della fruizione dell’arte. Anche una “piatta” come la pittura. Un dispositivo e aumenta il senso di presenza, che poi è l’unico che conti di fronte alle opere d’arte. Questi documentari sono d’ambiente, sono film in cui le stanze e i paesaggi contano anche più di quanto non contino di solito nei film di Wenders, sono tentativi di restituire il corpo dell’arte.

Anselm non è “come stare lì” ma sa costruire intorno a questa idea di compresenza (che grazie al 3D è un’illusione e di certo non “vera presenza”) un piacevole insieme di momenti in cui il 3D impressiona di fronte a dipinti giganti. Oltre a questi poi Wenders crea anche scenari che sembrano usciti da Stalker di Tarkovsky e altri che replicano l’idea già presente in Pina 3D di selezionare gli ambienti in cui far accadere le cose. Anselm è insomma un film autonomo che sfrutta le opere dell’artista documentato per fare cinema d’arte, nel senso stretto e letterale del termine. Una categoria flebile che Wenders è uno dei pochi ad animare di film, e questo principalmente grazie al potere che gli viene dal suo essere una star del mondo della cultura.

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