Another Life (prima stagione): la recensione
Another Life è solo un'altra serie di fantascienza che scambia lo shock visivo con l'atmosfera
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Another Life cade nello stesso equivoco di altre recenti serie tv di ambientazione spaziale come Nightflyers (la recensione) oppure Origin (la recensione). E probabilmente merita di essere indagata questa trappola di scrittura che porta ad immaginare il viaggio interstellare come un'infinita camera di tortura. Le astronavi sono prigioni di metallo lanciate tra le stelle, in costante contatto con la morte. Sono luoghi in cui nessuna caratterizzazione può mettere radici e germogliare, perché le reazioni estreme sono l'unico modo di interfacciarsi, senza meraviglia o paura, ma solo oppressione.
Nella prima puntata qualcuno dice a Niko: "tu vuoi tornare nello spazio". Potrebbe essere un gioco con lo spettatore, che sa di trovarsi di fronte alla protagonista di Battlestar Galactica. Ma Another Life non ha nulla in comune con quel tipo di fantascienza. In dieci puntate la narrazione si mantiene molto ordinaria e episodica, quasi schematica. C'è un'emergenza molto grave a bordo che mette in pericolo la missione, e un cliffhanger che introduce la minaccia successiva. La stagione quindi rinuncia a costruire per sé una mitologia anche solo di breve periodo, rimanda spiegazioni e informazioni, si concentra solo sull'ora e adesso.
Perfino il primo episodio contiene in sé una serie di reazioni scomposte e violentissime che non si basano su nulla poiché nulla sappiamo dei personaggi. E c'è quel gusto malsano per la violenza grottesca, per l'accanimento sui corpi, per la distruzione dei caratteri e del loro equilibrio interno. Con un approccio di questo tipo, che passa come un rullo compressore su tutto il resto (dialoghi, atmosfera, regia) pur di ottenere uno shock visivo che comunque non riesce a raggiungere, l'empatia è solo un miraggio.