L'anno dell'uovo, la recensione | Festival di Venezia

Per almeno metà di L'anno dell'uovo il film sembra attendere di entrare in azione e quando lo farà sarà un po' troppo tardi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di L'anno dell'uovo, il film d'esordio di Claudio Casale, presentato alla mostra di Venezia nella sezione Biennale College

La nostra abitudine di fronte a un contesto come quello in cui è immerso L’anno dell’uovo è di presupporre che sia ciarlataneria, che il film ci racconterà questo ritiro spirituale intriso di animismo orientale ma molto italiano nell’organizzazione e nella frequentazione (grande idea recuperare Regina Orioli nel ruolo della guru), come un luogo pieno di persone ridicole, abbastanza truffaldine e sostanzialmente illuse. L’inizio sembra pure confermarlo. Invece più il film avanza più è chiaro che creda molto nello spiritualismo, anche se non per forza in quello del ritiro.

Quello in cui sono i due protagonisti è infatti un ritiro per coppie che aspettano un figlio, tutte le donne sono gravide a diversi stadi e ciò che mangiano, gli esercizi che fanno, la meditazione che praticano e la vita che conducono è finalizzata a creare le condizioni migliori per il parto. Purtroppo però alla coppia capita un aborto e di colpo, da che i protagonisti si trovano in una comunità chiusa di loro pari, diventano degli outsider. I diversi. Peccato che questa ottima idea venga esplorata nelle sue conseguenze realmente solo a 20 minuti dalla fine, dopo un film intero che fa melina, indugia, non riesce a creare il senso di spiritualismo che vorrebbe e in buona sostanza tedia.

L’anno dell’uovo avrebbe avuto un bisogno disperato di entrare nel vivo ben prima (e gli attori in questo non aiutano per niente), ma passa troppo tempo a descrivere rapporti, ritualità e fatiche che abbiamo capito da subito. Dalla ribellione della coppia e dall’inizio del loro scetticismo invece inizia tutto un altro piano del racconto, finalmente carnale nelle immagini e più astratto nel senso. Ci sarà un’elaborazione della perdita non convenzionale, raccontata finalmente usando un punto di vista particolare per fare anche un film particolare. Cioè quello che era auspicabile fin dall’inizio e che invece il film ha negato per troppo tempo.

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