Anni da cane, la recensione | Roma 16

Un teen movie romantico a caratteri ribaltati è una buona idea che in Anni da cane stenta ad affermarsi

Critico e giornalista cinematografico


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Anni da cane, la recensione | Roma 16

In un’Italia che sembra travestita da America, in cui le scene sembrano svolgersi secondo rituali americani, in cui le persone sembrano vivere in case all’americana e in cui ad esempio si vede un funerale immaginario con la foto gigante del defunto accanto alla bara come nei rituali americani, si svolge invece una storia italiana che pare vergognarsi di essere tale. Anni da cane è il primo film prodotto da Prime video in Italia e andrà in tutto il mondo come tale, ma non sembra per niente assecondare quella filosofia glocal di Netflix, per la quale è di appeal mondiale ciò che è molto locale. Invece sembra un film tarato su uno sfondo generico e ambientato in un luogo generico.

Lì una ragazza si dà ancora pochi anni di vita, in una sorta di parodia o presa in giro del cinema di malattia terminale, e quindi vuole fare tutto in fretta, ha una lista di punti da svolgere il più pressante dei quali è perdere la verginità. I perché e i per come di tutto questo sono da scoprirsi lungo il film e la tensione verso il loro disvelamento non è gestita benissimo (quando lo scopriremo sarà anche un momento in cui avremo superato la curiosità di saperlo e nemmeno un cameo che funziona tantissimo cambierà la cosa). Una migliore amica e un migliore amico gay la aiutano a spuntare tutto dalla lista, avrebbe anche trovato il ragazzo perfetto per perdere la verginità e lui sarebbe anche interessato a lei, solo che storie parallele e incomprensioni si mettono di mezzo, nella miglior tradizione del genere.

Il punto di Anni da cane sembra essere la sovversione degli stereotipi di gender, cioè Stella e Matte non somigliano alle ragazze e ai ragazzi che solitamente popolano i teen movie romantici ma anzi fanno di tutto per avere l’una le caratteristiche stereotipiche dell’altro e viceversa. Matte non esce dai film per ragazzi in cui c’è un protagonista che ha una terribile ansia verso il sesso, che vuole perdere la verginità e vede intorno a sé solo oggetti sessuali, è semmai lei (con la giustificazione della lista) a desiderare questo e non una storia d’amore. Stella non è la classica ragazza da film che ha sogni di amori romantici e che parla dei propri sentimenti, è semmai lui ad essere quello logorroico, che va piano, fa il corteggiamento e stenta ad andare al dunque.
Per Stella Matte è un mezzo per arrivare ad un fine, per Matte Stella è una ragazza di cui innamorarsi. Questo è il cuore dell’intreccio.

L’idea è ottima ma la realizzazione meno. Se Federico Cesari è molto credibile (del resto dopo Skam gli è rimasto attaccato il personaggio sensibile), il problema è che Aurora Giovinazzo non funziona, è molto difficile relazionarsi a lei come protagonista della storia (mentre l’impressione è che forse con quei toni e quel carattere sarebbe stata perfetta da caratterista), è respingente non solo verso gli altri (cosa che la potrebbe rendere intrigante e vicina al pubblico) ma anche verso lo spettatore. E anche la chimica con Federico Cesari è scarsa. I due non sembrano mai veramente attirarsi, mentre (tragedia!) Cesari è molto più in sintonia con Paola Formisano, che nel film è la donna rivale.

Se a questo si aggiunge che il film fatica un po’ a superare il confine tra secondo e terzo atto, cioè quando tutto va male prima della risoluzione, con diverse lungaggini e poca concretezza nel portare avanti la trama, rimane solo un contesto genericamente giovanile da piattaforma streaming a dare soddisfazione.

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