Annette, la recensione | Cannes 74

Pieno di grandissime idee ma intento a presentarle e lavorare di continue allegorie ermetiche Annette non sfrutta mai il suo potenziale.

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Cannes 74 - Annette, la recensione

Più passano gli anni più il cinema di Leos Carax invecchia dentro rimanendo eternamente giovane fuori. Annette ha il ritmo del cinema dei nostri anni, ha la fotografia e la maniera di stare addosso ai personaggi del cinema da festival contemporaneo e anche gli attori e il recupero del musical di questi tempi. Dentro però rimane profondamente un film di Leos Carax, fondato su una visione di come funzioni il cinema ancorata a convenzioni da intellettualismo cinefilo anni ‘70 e ‘80. Holy Motors il suo ultimo film, 9 anni fa aveva confermato che c’è ancora una grandissima passione intorno a queste idee ma a giudicare da quanto si è visto dopo la sua uscita, al netto del successo cinefilo sempre di meno sembrano incidere sul proprio tempo come vorrebbero.

L’impianto di Annette è quello classico del musical, una storia di artisti. Formalmente se si dovesse trovare un archetipo quello più giusto potrebbe essere la tradizione del musical sul parlato francese (Les parapluies de Cherbourg, per intendersi) che Carax musica con The Sparks (molto ordinari!).

Da subito c'è un sovrapporsi di messe in scena, il palco di lui (Adam Driver, sempre dedito al cinema d’autore, pronto ad accollarseli tutti), un comico duro e senza peli sulla lingua, e il palco di lei (Marion Cotillard), cantante lirica. Entrambi hanno successo e insieme sono un coppia fotografatissima. Il loro amore sfocia in una figlia che, con grandissima trovata di messa in scena, è un burattino, o almeno così è rappresentata (per i personaggi è una bambina vera). In mezzo c’è un pianista con ambizioni di carriera e una passione nascosta per Marion Cotillard.

Succederanno molte cose in Annette (se non altro) ma non cambierà mai il fatto che per Carax conta solo la macchina film e i personaggi sono una scusa. Anche in questo film, come spesso gli capita, non hanno una vera personalità e quel poco che c’è nessuno vuole approfondirlo, sono bozzetti che servono a spingere le scene e rappresentare allegorie (i più volenterosi e appassionati avranno le loro mille ipotesi sul fatto che Marion Cotillard ha sempre con sé una mela). Carax fa film per parlare di film e mostrare il modo in cui fa film. Spesso ha trovate eccellenti ma quando si esauriscono non lasciano niente.

Anche il bambolotto, simulacro di un oggetto amato e dichiarazione del fatto che è un mero dispositivo narrativo più che una persona reale, funziona tantissimo visivamente e anche quando si trasformerà sarà significativo, ma passato il colpo quel che segue (dialoghi, recitazione e svolte) saranno nulle se non pessime. Esaurita la trovata c’è il nulla.
E così per il resto del film in cui tutto avviene per mettere in scena un segno ma i personaggi non sono mai messi davvero in conflitto e le canzoni sono usate per fargli dire chi sono, cosa pensano cosa provano, cosa sognano. Leos Carax è bravissimo (bravissimo davvero) ad usare le immagini ma tutto quel che c’è da dire sui personaggi lo esprime a parole tanto poco gli interessa occuparsi di loro e affrontarli.

Cosa rimane? Una tonnellata di metafore su realtà e simulacro, rappresentazione vita intima, vita pubblica e vita privata, un catalogo di strumenti del cinema senza la sostanza come una serie di test ben fatti.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Annette? Scrivicelo nei commenti

Continua a leggere su BadTaste