Annabelle 3, la recensione

Al terzo capitolo finalmente Annabelle ritrova la location in cui l'avevamo conosciuta, che era il suo elemento maggiore di fascino

Critico e giornalista cinematografico


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Al terzo film, finalmente, Annabelle riprende l’idea centrale che l’aveva lanciata, il dettaglio che ne arricchiva la potenza. Finalmente la bambola posseduta (anzi non propriamente posseduta, ma ci arriviamo) torna in quella strana condizione in cui l’avevamo conosciuta in L’Evocazione: seduta su una terribile poltroncina adatta alle sue proporzioni, all’interno di una teca, dentro una stanza della dimora dei coniugi Warren, la stanza degli artefatti posseduti che loro tengono lì, nell’abitazione in cui vivono con la figlia. Perché è più sicuro.

Ci sono due babysitter, una delle quali desiderosa di reincontrare il padre morto per ragioni che scopriremo, e una lunga notte senza i Warren in casa nella quale tutto va storto. Prima uno spiegone: Annabelle non è posseduta, in questa serie gli oggetti non possono essere posseduti (appuntarselo per il futuro), Annabelle è una specie di antenna per demoni, li chiama, li attira e questi la usano per i loro fini (spostandola). La teca la annulla. Finché è chiusa nessun problema, se si apre scoperchia il vaso di Pandora. Dinamiche videoludiche semplici che vengono scatenate quasi subito per una nottata di divertimento in compagnia della sposa con coltello, un cane posseduto da un uomo cioè un lupo mannaro (papabilissimo per un film a sé dedicato vista la propensione della saga a generare spin-off come niente), un demone con corna e Annabelle ovviamente. A contrastarli due adolescenti, un pretendente sfigato e una bambina con qualche sentore di potere medianico.

L’Evocazione aveva un asso nella manica proprio nei due Warren, acchiappafantasmi d’altri tempi, incredibilmente a loro agio con le presenze, cordiali e familiari, una coppia di buoni vicini che con calma e conoscenza scova e scaccia presenze. Ora il team è invece quello di un teen movie senza però quella scanzonata ironia.
In tutto questo Gary Dauberman si dimostra desideroso di fare vero horror, non è un regista completo e compatto ma almeno uno capace di lavorare sulla paura con immagini e trovate (abbastanza) originali. Non si ripete mai e confeziona sequenze dalla struttura diversa per ogni momento di paura. È bravo. Lo sa. Vuole farlo vedere, e infatti il film in linea di massima funziona. Che non è mai scontato.

Purtroppo però Annabelle 3 è continuamente tarpato dalla sceneggiatura. Dauberman, che l’ha anche scritto, l’ha pensato come fosse la versione cinematografica di un episodio di Piccoli Brividi, una parabola autoconclusiva piena di mostri che dei ragazzi devono sconfiggere. Un film a suo modo divertente, ma infarcito di sequenze d’azione e con poco margine per la suggestione.

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