Anna Nicole Smith: la vera storia, la recensione

La storia di Anna Nicole Smith ricostruita nella maniera più banale, con le voci più scontate e il livello minore possibile di riflessione

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del documentario Anna Nicole Smith: la vera storia, disponibile su Netflix dal 16 maggio

Questo non è un documentario di ricostruzione, almeno non uno che ambisca a capire qualcosa di più o di nuovo. Anna Nicole Smith: la vera storia è un documentario di conoscenti e amici che ricordano una persona defunta. Viene comunque ricostruita la sua storia per intero, e con dovizia di dettagli, quello che cambia è il punto di vista. Se un documentario narrato dalla stessa protagonista delle vicende (è il caso di quello sempre di Netflix su Pamela Anderson o di quello su Michael J. Fox da poco uscito su Apple TV+) può comunque essere interessante perché nei casi migliori può implicare una dialettica tra l’immagine che il soggetto/oggetto del documentario vuole far uscire di sé e quello che l’autore invece lotta per raccontare; da uno in cui parlano solo amici e conoscenti è quasi impossibile tirare fuori qualcosa di realmente interessante. Anna Nicole Smith: la vera storia poi non ci prova nemmeno.

In due ore davvero eccessive, in cui ci si dilunga anche su eventi, questioni e dettagli che non meriterebbero una trattazione così esaustiva, la storia dell’ascesa e poi caduta e infine tragica morte di Anna Nicole Smith è raccontata senza il minimo interesse per tutto ciò che quei fatti e quella vita dicono, che non sia la più retorica delle tirate contro il mondo dei media, cinico e traditore, il luccicante sfavillio delle stelle che nasconde disperazione, l’illusorietà del successo e altre banalità simili. Anche dal punto di vista narrativo lo stile è quello dello special televisivo anni ‘90, modernizzato solo nel look per poter entrare senza problemi nel catalogo Netflix e confondersi in mezzo a mille altre produzioni documentarie indistinguibili.

In due ore Ursula Macfarlane non riesce a tirare fuori dalle molte testimonianze, dalle parole di chi è stato vicino alla protagonista e dai tantissimi materiali di archivio una sola considerazione o anche solo magari uno spunto, su quello di cui più parlano tutti quanti, cioè il rapporto tra Anna Nicole Smith e un tipo di divismo anni ‘50/‘60 deleterio e recentemente riconsiderato come quello di cui è stata vittima Marilyn Monroe (a cui lei si rifaceva dichiaratamente), non è capace di stimolare una sola riflessione sul pubblico e il rapporto che noi abbiamo con questo tipo di stelle cadenti, la morbosità stimolata dall’unione di successo, denaro e caduta verticale (che è ciò che, alla fine della sua vita, lei stessa dichiarava di sfruttare) e come ciò alimenti lo show business e ne sia parte integrante. Tutte le testimonianze e i racconti vanno nell’unica direzione di leggere la storia come il massacro di una donna da parte del mondo dello spettacolo (che pure è vero) senza mai cercare di capire come lei avesse provato ad averne il controllo o come mai questo non capiti a tutte. Questo è un documentario che presenta la lettura più semplice e poi ci insiste fino alla morte facendo finta che sia una riflessione complessa e sfaccettata.

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