Anna Karenina, la recensione

Joe Wright accompagna Anna Karenina nel cinema post - moderno...

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Winston Churchill amava dire che la Russia è “un indovinello, avvvolto in un mistero, dentro a un enigma”. Allo stesso modo la grande letteratura del tardo impero Romanov, sia per le sue dimensioni fisiche che per l’impegno degli autori è un gigante difficile da attaccare, come se nel tentativo di racchiudere “tutte le Russie” in forma cartacea, Tolstoj e i suoi contemporanei si siano arresi davanti all’immensità del loro mondo ormai al crepuscolo.

Joe Wright, nell’approcciarsi ad Anna Karenina, ha scelto la strada opposta: stralciando dal romanzo tutte le sue componenti più complesse e approfondite, il regista di Orgoglio & Pregiudizio ha trasformato il capolavoro di Tolstoj in un’esercizio visivo di straordinaria eleganza, dove l’estetica, intesa come perfetta e precisa scelta dei movimenti e delle inquadrature, ha la meglio sulla trama e sul contesto narrativo, rendendo il film più simile a un balletto che a un melodramma classico. Così come nella danza ogni minimo passo deve seguire una precisa coreografia, così anche in Anna Karenina gli attori si muovo su un palco che è al tempo stesso immaginario e reale. Wright infatti, sublima il contrasto tra nobiltà e “proletariato” consumando l’intera vicenda dell’aristrocrazia usando una sola scenografia, quella di un teatro di posa abbandonato che diventa, di volta in volta, l’ufficio dell’austero ministro Karenin, il Palazzo d’Inverno dello Zar e - addirittura -uno stadio per le corse di cavalli; gli unici momenti in cui l’inquadratura si allarga e mostra gli immensi spazi delle steppe russe sono quelli in cui seguiamo uno dei protagonisti nel suo lavoro fra le spighe di granoturco, gomito a gomito con quel popolo che - di li a pochi anni - avrebbe messo tutti i protagonisti della vicenda “dal lato sbagliato della storia”. Nel raccontare la triste storia di Anna, donna troppo emancipata in una società neppure capace di emancipare se stessa, Wright ha scelto una strada opposta rispetto a quella delle sue opere precedenti: laddove Espaizione ed Orgoglio & Pregiudizio, cercavano di essere filologicamente impeccabili, Anna Karenina spariglia del tutto le carte e abbraccia il post - moderno nella sua forma più estrema. Addirittura l’intreccio principale, ovvero il triangolo amoroso fra Anna, Karenin e il Conte Vronskij viene più mostrato che raccontato, mentre il film si concentra in maniera quasi ossessiva sui movimenti, sugli sguardi, sui colori e sulle luci. Dal lapislazzulo delle cupole di San Basilio al nero pece dei vagoni ferroviari, Anna Karenina è un inno al cinema visivo, da contemplare nella sua componente estetica più che in quella narrativa.

Con tutta probabilità questa versione di Anna Karenina non sarà un successo di pubblico, e - a tratti -  Joe Wright indulge un po’ troppo nel suo autocompiacimento, tuttavia, permettendoci una citazione forse eccessiva, questa messa in scena della Karenina rispecchia pienamente uno dei più bei passaggi dell’originale letterario:

Io penso, disse Anna sfilandosi un guanto, che se ci sono tanti ingegni quante teste, ci sono tanti generi d'amore quanti cuori. (Lev Tolstoj, Anna Karenina, Libro II, Cap. VII)

Nel film di Wright ci sono sia ingegno che cuore. E tanto basta.

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