And Tomorrow the entire World, la recensione | Venezia 77

Emblema di qualcosa di più grande di sè, And Tomorrow The Entire World non è solo un film mediocre, è il simbolo di un'intera categoria di pessimi film (anche italiani)

Critico e giornalista cinematografico


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C’è una preoccupante somiglianza tra i mediocri film tedeschi e i mediocri film italiani d’autore. Questa sta tutta nel parlare ad una cerchia ristretta pensando di parlare a tutto il pubblico. In And Tomorrow the Entire World si trova lo scheletro fondamentale di questa sclerosi filmica, di linguaggio ma soprattutto di sceneggiatura. È la storia di alcuni attivisti pacifisti che, entrati in contatto con estremisti di destra neonazista, cominciano a chiedersi se non sia il caso di prendere le armi, di fare qualcosa, di lottare in modi più duri. Alcuni di loro lo fanno, creando problemi e alimentando un dibattito interno tra amori, triangoli e odio.

Non sono certo le convinzioni o le finalità politiche il problema del film, quelle semmai sono la colonna del cinema migliore! È l’incapacità di raccontarle includendo invece che escludendo a creare una dimensione in cui il film è sempre convinto che la lettura del mondo sia molto semplice per tutti. La totale incapacità di adottare punti di vista che non siano il proprio ce la aspettiamo dai B movies, che hanno altri pregi e lavorano su altri meccanismi. Il cinema che desidera disperatamente lo statuto autoriale e che invece ha l’ansia di mostrare di stare dalla parte dei giusti (di nuovo inevitabilmente semplificando la realtà e rendendo un pessimo servizio allo spettatore per non dire al cinema) lascia sempre l’impressione di avere tra le proprie molte finalità anche posizionare i propri autori. Metterli dalla parte della barricata dei giusti.

And Tomorrow the Entire World è un film mediocre da qualsiasi punto lo si prenda. Piccino nella sceneggiatura (alcuni espedienti fanno tenerezza per ingenuità), vago nella caratterizzazione di personaggi che non hanno mai carattere ma semmai esibiscono rabbia, prolisso nell’esposizione di una trama che avrebbe beneficiato di mezz’ora di film in meno e tremendamente insulso nella messa in scena. È un film proprio concepito senza il desiderio di essere eseguito bene ma con tanta voglia di esaltare la resistenza ai movimenti di estrema destra. Che è un’idea largamente condivisa e condivisibile ma lo stesso non è chiaro perché dovrebbe giustificare un film così sciatto.

Questa non è una storia di attivismo per tutti o una in cui l’attivismo è il setting di qualcos’altro, in cui ci serve per entrare in una dimensione che rivede alcune nostre certezze. È una storia di attivismo per attivisti o per chi lo è sempre voluto essere, in cui gli attivisti sono compatti come un corpo, come la polizia, in cui tutto si esaurisce nel loro impegno e in cui l’importante è sempre ricordarci di avere un nemico comune che nessuno si sogna di voler capire, che non è sinonimo di condividere ma dovrebbe essere il ruolo del cinema: generare immagini che ci smuovano e squarcino idee e riflessioni nuove.

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