And Tomorrow the entire World, la recensione | Venezia 77
Emblema di qualcosa di più grande di sè, And Tomorrow The Entire World non è solo un film mediocre, è il simbolo di un'intera categoria di pessimi film (anche italiani)
Non sono certo le convinzioni o le finalità politiche il problema del film, quelle semmai sono la colonna del cinema migliore! È l’incapacità di raccontarle includendo invece che escludendo a creare una dimensione in cui il film è sempre convinto che la lettura del mondo sia molto semplice per tutti. La totale incapacità di adottare punti di vista che non siano il proprio ce la aspettiamo dai B movies, che hanno altri pregi e lavorano su altri meccanismi. Il cinema che desidera disperatamente lo statuto autoriale e che invece ha l’ansia di mostrare di stare dalla parte dei giusti (di nuovo inevitabilmente semplificando la realtà e rendendo un pessimo servizio allo spettatore per non dire al cinema) lascia sempre l’impressione di avere tra le proprie molte finalità anche posizionare i propri autori. Metterli dalla parte della barricata dei giusti.
Questa non è una storia di attivismo per tutti o una in cui l’attivismo è il setting di qualcos’altro, in cui ci serve per entrare in una dimensione che rivede alcune nostre certezze. È una storia di attivismo per attivisti o per chi lo è sempre voluto essere, in cui gli attivisti sono compatti come un corpo, come la polizia, in cui tutto si esaurisce nel loro impegno e in cui l’importante è sempre ricordarci di avere un nemico comune che nessuno si sogna di voler capire, che non è sinonimo di condividere ma dovrebbe essere il ruolo del cinema: generare immagini che ci smuovano e squarcino idee e riflessioni nuove.