Ancora più bello, la recensione

Il successo del primo film crea la trilogia e così Ancora più bello amplia il racconto, inietta personaggi e si chiude con un cliffhanger

Critico e giornalista cinematografico


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Ancora più bello, la recensione

Rilanciatissimo con una seconda parte che si chiude con l’annuncio della terza, Sul più bello diventa Ancora più bello in attesa di Sempre più bello. Ovviamente nonostante il cambio alla regia (da Alice Filippi a Claudio Norza) tutto è più che confermato, specialmente il tono preadolescenziale e colorato che sempre di più, al procedere delle trame e all’enfatizzarsi delle dinamiche tra i tre amici protagonisti, attinge con garbo ai contorni del cinema queer.

Ludovica Francesconi è sempre la protagonista ed è sempre minacciata da una malattia mortale. In attesa di trapianto scopriamo che ha lasciato il fidanzato duramente conquistato nel primo film ed è diventata una calamita per gli uomini. Uomini bellissimi. C’è un nuovo ragazzo nella sua vita, artista, uno non più da conquistare (all’inizio già stanno insieme), ma la cui relazione a distanza va mantenuta mentre a Torino un nuovo bellissimo uomo crea equivoci.
La malattia, messa da parte per quasi tutto il film, torna nel finale per il cliffhanger.

È questa la differenza maggiore tra Ancora più bello e Sul più bello, il fatto che slitti un po’ di genere e non risponda più ai canoni di “amore&malattia mortale”, cioè non usi più lo spettro di una possibile morte come ciocco di legno che alimenta sentimenti grandi, rinunciando quindi a quella prossimità alla fine che afferma con forza la vitalità. La storia diventa più canonica e corale, avvicinando la scrittura a quella seriale (il nuovo regista, forse non a caso, da lì viene), in cui gli archi narrativi sono più lunghi e le trame dei comprimari si allargano. C’è una storia di #metoo sul posto di lavoro, una di ricerca dell’amore tramite nuove tecnologie e poi anche una più classica di bella e bestia tra una pupa e un secchione.

Tutto ha il medesimo tono da cartone animato, fatto di espressioni molto cariche, colori accesi e caratteri decisi (senza dire un comparto musicale di nuovo assassino che sembra abbassare di continuo il gusto delle scene). È tutto così colorato e arcobaleno che alla fine anche i capelli blu elettrico di un cammeo non stonano. Soprattutto ogni elemento è sempre più fondato sull’affiancamento di corpi esageratamente perfetti e sexy (sempre maschili) ad altri fuori dai canoni, a partire da Ludovica Francesconi, polo d’attrazione per uomini nonostante un’apparenza (a suo stesso dire) dimessa.

In Ancora più bello infatti non si fa che parlare di sesso e sessualità, si racconta e mette in scena l’omosessualità come l’eterosessualità o la bisessualità, ma non c’è mai niente di erotico. Ai discorsi seguono sempre scene di letto con coperte fino alla gola e giochi sessuali (di nuovo) da cartone animato, completamente occultati dalle coperte anche oltre la testa.
E alla fine, tra tutte, è forse questa la vera particolarità di questa serie di film, il racconto di un mondo parallelo al nostro, edulcorato e bambinesco in cui una sessualità da favola, fatta di attrazioni, ma non di eccitazione, non è più solo quella convenzionale ma è allargata a tutto lo spettro conosciuto.

Cosa ne pensate della nostra recensione di Ancora più bello? Ditecelo nei commenti qua sotto!

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