Ancestors: The Humankind Odyssey, evolversi, che fatica – Recensione

Se siete alla ricerca di una produzione diversa dal solito, dal grande potenziale didattico ed antropologico, Ancestors: The Humankind Odyssey non potrà che esaltarvi e deliziarvi

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Ancestors: The Humankind Odyssey: la recensione

Tagliando corto, soprassedendo sui risvolti antropologici, didattici e perfino filosofici su cui si erge fieramente la creatura di Panache Digital Games, e su cui torneremo a breve, Ancestors: The Humankind Odyssey è senza alcuna ombra di dubbio un survival.

Coerente fino all’eccesso, le sue scelte di design esemplificano un concetto in realtà esplicitato sin dalla schermata del menù. Il titolo nato dalle intuizioni e dal volere di Patrice Désilets non vuole essere principalmente un gioco, quanto uno strumento, quasi scientifico, per testare in prima persona quanto tempo, quanta fatica e quanti tentativi falliti presupponga l’evoluzione di una specie, tanto più complessa se rapportata alla nostra, oggetto dell’analisi digitale sottopostaci nell’esperienza.

Il viaggio temporale e spaziale si dipana per ere geologiche, prendendo in esame le principali tappe che da semplici Sahelanthropus Tchadensis, ominidi vissuti sette milioni di anni addietro, nonché nostri più antichi avi, ci hanno tramutati negli unici animali in grado di domare e dominare il fuoco.

[caption id="attachment_199380" align="aligncenter" width="1024"]Ancestors: The Humankind Odyssey screenshot Se a furia di tentativi ed esperimenti si decifra l’enigmatica hud, per l’impacciato sistema di controllo non c’è niente da fare[/caption]

L’odissea, suggerita dal titolo, è in effetti un intricata scalata composta da continui errori, numerosi tentativi falliti, svariate ore consumate ripetendo quasi ossessivamente le stesse azioni.

Ancestors: The Humankind Odyssey, come dicevamo, non sembra affatto interessato a divertire l’utente e questo lo si evince piuttosto chiaramente analizzando control scheme e hud di gioco.

Il primo è, senza mezzi termini, assolutamente schizofrenico, asfissiato da una distribuzione dei comandi a dir poco tragicomica. Un esempio che vale per tutti: corsa e salto utilizzano lo stesso pulsante, con effetti indesiderati e a dir poco drammatici in determinate situazioni.

"Si tratta per lo più di provare e riprovare, consapevoli che da un personaggio all’altro non tutte le conquiste effettuate si tramandano automaticamente"Dal canto suo, ma in questo senso si intuisce il senso ed il motivo di tale scelta di design, l’hud fa davvero ben poco per dischiudersi e specificarsi agli occhi e alla comprensione del videogiocatore.

All’avvio della prima partita, insomma, ci si sente davvero come delle scimmie alla scoperta di un mondo largamente ignoto e puntualmente ostile, accezione non solo prettamente ludica, perché lo scopo dell’esperienza è proprio quella di aiutare gli Sahelanthropus Tchadensis a evolversi, ma anche e soprattutto soggettiva, legata alla stessa fruizione del titolo.

Il significato di buona parte delle icone e degli indicatori che affollano lo schermo resterà oscuro per buona parte del tempo, visto che nessun tutorial o didascalia si prenderà la briga di esplicitarne la funzione.

Si tratta, insomma, di sperimentare e scoprire, esattamente come dovrà farlo l’avatar, o meglio gli avatar, di cui prenderete il controllo, attraverso le ere, una generazione dopo l’altra.

Inizierete il viaggio senza alcuna conoscenza e abilità. Analizzando gli elementi che compongono lo scenario che vi circonda, interagendo con gli altri membri della tribù, sbloccherete lentamente nuove facoltà, rendendo migliore, più efficiente ed intelligente il personaggio. Allevando giovani cuccioli, vi accorgerete che questi erediteranno inevitabilmente alcune caratteristiche dei genitori, sviluppando mutazioni genetiche che potrebbero rivelarsi vantaggiose nella corsa verso l’apice della catena alimentare.

Come anticipato, si tratta per lo più di provare e riprovare, consapevoli che da un personaggio all’altro non tutte le conquiste effettuate si tramandano automaticamente. Questo, forse, è l’aspetto più frustrante, per quanto carico di realismo, di Ancestors: The Humankind Odyssey, la feature meno ludica del pacchetto, quella che più lo allontana dal genere dei giochi di ruolo in cui le skill una volta sbloccate, restano tali per sempre.

[caption id="attachment_199381" align="aligncenter" width="1024"]Ancestors: The Humankind Odyssey screenshot Esplorando il mondo circostante con un cucciolo sulle spalle si corrono maggiori rischi, ma i premi in termini di punti esperienza raddoppiano[/caption]

Ogni tre passi avanti, insomma, se ne conta almeno uno indietro, in un balletto in cui la ripetizione, la riproposizione identica è la regola.

Ciò che toglie sul piano direttamente collegato al divertimento, la creatura di Panache Digital Games lo restituisce in termini di suggestioni. Un po’ perché gli scenari che andrete ad esplorare sono carichi di bellezza ancestrale, un po’ perché è come ritrovarsi in una puntata interattiva di Super Quark, dove si impara la teoria di Darwin vedendola realizzarsi davanti ai propri occhi.

Ancestors: The Humankind Odyssey non è affatto un gioco perfetto, né per tutti e, senza alcuna ombra di dubbio, il modo migliore per goderselo passa attraverso brevi sessioni in cui esplorazione e piacere della scoperta attutiscono la noia del ripetere certe azioni decine di volte.

Chi ama l’azione senza compromessi lo disprezzerà. Se siete invece alla ricerca di una produzione diversa dal solito, dal grande potenziale didattico ed antropologico, il coraggioso esperimento di Patrice Désilets non potrà che esaltarvi e deliziarvi.

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