Amsterdam, la recensione

Sulla carta Amsterdam ha tutte le qualità per essere un grande film da grande pubblico: peccato che l’aspirazione non coincida affatto con il risultato.

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La recensione di Amsterdam, presentato alla Festa del Cinema di Roma. Al cinema dal 27 ottobre

Era dal 2015, con Joy, che David O. Russell non metteva il suo nome su schermo. Regista di grandi talent hollywoodiani (diciamo pure l’élite dei più pagati del momento) e di grandi produzioni, dopo sette anni ritorna coerente con questa sua immagine con Amsterdam. Si tratta infatti diun film di grandissimi nomi - Christian Bale, Margot Robbie, John David Washington, Taylor Swift, Anya Taylor-Joy, Robert De Niro, Rami Malek, Zoe Saldana - e tra l’altro di grande ispirazione patriottica (il tipico film in cui Hollywood ama crogiolarsi): un film storico dove due ex veterani di guerra finiscono in un intrigo losco, dove la grande storia mondiale si ridisegna sull’immagine degli USA come prescelti di una “missione storica”. In sintesi, un film attraverso cui gli USA fanno politica per immagini. Peccato che l’aspirazione non coincida affatto con il risultato.

Sulla carta Amsterdam ha tutte le qualità per essere un grande film da grande pubblico (nel senso di dimensioni, aspirazioni). Si tratta infatti di una storia vera, ambientata nella New York degli anni Trenta: quella da grande noir e thriller, dove Christian Bale e John David Washington sono un simpatico medico spiantato e un serio avvocato che, come vecchi detective di quel vecchio cinema, vengono ingaggiati dalla figlia di un generale (Taylor Swift) per fare luce sulla sua morte. Da qui tutto l’intrigo internazionale, i poteri forti, la Grande Storia.

È però davvero sconvolgente, a tratti inspiegabile, come tutto questo potenziale narrativo vada gettato a calci fuori dalla porta principale da una sceneggiatura (sempre di David O. Russell) che della detection se ne frega altamente per più di un’ora, concentrandosi su delle trame traverse e dei tempi morti nei quali lo spettatore viene riempito di parole e battute senza che il film vada da nessuna parte. L’impressione è infatti quella di rimanere letteralmente fermi al punto di partenza, in attesa che il film cominci. Non è neanche così male la parte ad Amsterdam, quella dove viene costruita l’amicizia tra i due protagonisti e l’infermiera Valerie (Margot Robbie) dove anzi Russell ci riporta indietro nella storia stessa del cinema (qua si vede l’ispirazione e la posizione di questo autore), in un intermezzo alla Jules et Jim e quasi alla Ernst Lubitsch (quello di Partita a quattro) dove il cinema del presente si diverte a giocare con quello del passato.

Tolto questo intermezzo, cosa rimane di David O. Russell? Veramente poco. C’è poca commedia, poca ironia, e quando c’è non è nemmeno così divertente. La voce narrante tipica del noir e dello stesso O. Russell è qui affidata a Bale, che però non riflette mai sul senso profondo delle cose, ma solo sulla superficie di quello che già stiamo vedendo per immagini. Questo anche perché sono proprio le dinamiche narrative del film a non funzionare, a non creare situazioni divertenti o dove si possa percepire il rischio che stanno correndo i personaggi. Più che correre in un mondo pericoloso, i personaggi di Amsterdam sembrano passeggiare a zonzo per la strada. Con un finale plateamente sbagliato, dove O. Russell non ha alcun senso della misura.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Amsterdam? Scrivetelo nei commenti!

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