Amsterdam, la recensione
Sulla carta Amsterdam ha tutte le qualità per essere un grande film da grande pubblico: peccato che l’aspirazione non coincida affatto con il risultato.
La recensione di Amsterdam, presentato alla Festa del Cinema di Roma. Al cinema dal 27 ottobre
Sulla carta Amsterdam ha tutte le qualità per essere un grande film da grande pubblico (nel senso di dimensioni, aspirazioni). Si tratta infatti di una storia vera, ambientata nella New York degli anni Trenta: quella da grande noir e thriller, dove Christian Bale e John David Washington sono un simpatico medico spiantato e un serio avvocato che, come vecchi detective di quel vecchio cinema, vengono ingaggiati dalla figlia di un generale (Taylor Swift) per fare luce sulla sua morte. Da qui tutto l’intrigo internazionale, i poteri forti, la Grande Storia.
Tolto questo intermezzo, cosa rimane di David O. Russell? Veramente poco. C’è poca commedia, poca ironia, e quando c’è non è nemmeno così divertente. La voce narrante tipica del noir e dello stesso O. Russell è qui affidata a Bale, che però non riflette mai sul senso profondo delle cose, ma solo sulla superficie di quello che già stiamo vedendo per immagini. Questo anche perché sono proprio le dinamiche narrative del film a non funzionare, a non creare situazioni divertenti o dove si possa percepire il rischio che stanno correndo i personaggi. Più che correre in un mondo pericoloso, i personaggi di Amsterdam sembrano passeggiare a zonzo per la strada. Con un finale plateamente sbagliato, dove O. Russell non ha alcun senso della misura.
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