L'amour ouf (Beating Hearts), la recensione I Cannes 77
Epopea sentimentale sfacciatamente di finzione, L'amour ouf si ciba di immagini altrui per costruirne di proprie
La nostra recensione di L'amour ouf, presentato in concorso al Festival di Cannes 2024
Negli anni ’80 in una cittadina al nord della Francia, Jackie (Mallory Wanecque) è una ragazzina borghese e studiosa che vive col padre dopo la scomparsa della madre. Clotaire (Malik Frikah) è invece un piccolo bandito che preferisce passare le giornate in giro. I due si incrociano al liceo, prima lo screzio, poi il colpo di fulmine. Il richiamo del mondo criminale è però troppo forte per il ragazzo, che ne rimane vittima finendo dodici anni in prigione. Quando esce, lei (Adèle Exarchopoulos) è ormai sposata e sembra averlo dimenticato, lui (François Civil) non ha trascorso giorno senza pensare al suo vecchio amore.
Mallory Wanecque (Jackie da ragazzina) ha un volto molto simile a quello di Adèle Exarchopoulos, che la interpreta da adulta. Mentre giace sull’erba insieme a Clotaire, un suo primo piano irradiato dal sole sembra arrivare direttamente da La vita di Adele. Più avanti, un’inquadratura di Exarchopoulos, quando nel buio totale una forte luce la illumina, la fa sembrare identica a dieci anni prima nel film che l'ha consacrata. Il personaggio appare come interpretato dalla stessa attrice, riflessi su riflessi si sommano sullo schermo, in un'opera che gioca con (auto)ironia con l'immaginario di riferimento.
Ne suo rifarsi a schemi consolidati, L’amour ouf risulta vincente per il suo riportare alla commedia l'intero svolgimento, rendendo apprezzabili anche le svolte più scontate. Così ad esempio dopo un duro scontro a fuoco c'è un personaggio che subito sdrammatizza e in generale nulla si deve prendere troppo sul serio. Aggiungiamoci anche una buona caratterizzazione dei personaggi: un padre duro ma non inflessibile, un marito insensibile ma non deprecabile, a cui basta un gesto (bere tutto d’un fiato il bicchiere di vino durante una tesa cena) per rappresentare i suoi sentimenti. Tra le righe, si scorge il lavoro di fino in fase di sceneggiatura di Audrey Diwan (La scelta di Anne) che sul finale regala a Jackie un momento di autoconsapevolezza e rivalsa femminile.
Il meccanismo oliato del film si ingolfa parzialmente quando deve tirare le fila: una serie di eclatanti colpi di scena e momenti che sfiorano il kitsch per giungere all'epilogo. A non venire meno è però la gioiosa sfacciataggine di L’amour ouf, che conclude con un'esplicita dichiarazione d'intenti e si prende gioco di se stesso con un beffardo cartello sui titoli di coda.