L'amore secondo Dalva, la recensione

Nicot dà prova di un’intelligenza narrativa e cinematografica per niente comuni - non per la messa in scena o per il coraggio di parlare di un taboo, ma per la capacità di cambiare di segno, conservandone la dolcezza, il linguaggio di un film d’amore.

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La recensione di L’amore secondo Dalva, al cinema dall’11 maggio

Dall’equivocabile titolo (chi non ha pensato ad una commedia romantica?) proprio non si direbbe, ma L’amore secondo Dalva di Emmanuelle Nicot è a tutti gli effetti un dramma che tratta di argomenti atroci - pedofilia, incesto, manipolazione di minore - con una delicatezza e un tatto disarmanti, laddove il soggetto parrebbe appartenere al solito voyeurismo dell’orrore. È proprio per questo, l’intelligenza registica di Nicot (come dirige bene la protagonista) e una sceneggiatura finissima che L’amore secondo Dalva è senza dubbio uno dei migliori esordi degli ultimi anni.

Di fatto il film è costruito come un coming of age “al contrario”: una ragazzina, Dalva (Zelda Samson), compie un percorso di decrescita da un'età adulta arrivata presto e con una violenza inimmaginabile (è convinta di essere una donna, di amare il padre e che il sesso e l’amore siano la stessa cosa) a quella dei suoi effettivi dodici anni, con tutte le tenerezze e le ingenuità del caso. Presa in carico dai servizi sociali in attesa del processo contro il padre, Dalva dovrà non solo affrontare il dolore di una perdita - il padre/amante - ma poi accettare che tutto quello che ha vissuto era una menzogna manipolatoria, e infine accettarsi, guardandosi allo specchio, nella sua"nuova" identità di ragazzina.

Un percorso difficile già solo da immaginare, e che L’amore secondo Dalva sceglie di raccontare con l’occhio della normalizzazione. Nicot segue Dalva ad altezza sguardo, spesso a distanza ravvicinata, con l’esito di riuscire a raccontare (che è ben diverso dal rivelare attraverso i dialoghi) tantissimo di questo personaggio e il suo conflitto dall’aspetto e dal modo in cui si muove nervosamente nel mondo (il modo in cui Dalva cambia aspetto durante il film è cruciale). Per certi versi L’amore secondo Dalva ricorda molto L’evenement di Audrey Diwan: la materia straziante, lo stile visivo, l’idea di non lasciare mai solo il personaggio. Ma diversamente da Diwan, Nicot si tiene sempre dal lanciare considerazioni forti (Diwan proprio con quel voyeurismo dell’orrore), non vuole essere esaustiva sui motivi e i come/perché di tale violenza né pretende di spiegare la morale al suo personaggio.

Nicot dà prova di un’intelligenza narrativa e cinematografica per niente comuni - non per la messa in scena (lo stile visivo si vota alla semplicità, zero fronzoli), o per il coraggio in sé di parlare di un taboo, ma per la capacità di cambiare di segno, conservandone la dolcezza, il linguaggio di un film d’amore. Dalva ama e vuole essere amata disperatamente, tutti le dicono cosa può e non può fare, come vestirsi, chi può amare. Le motivazioni sono moralmente chiare, le diremmo oggettive. Ma proprio qui Nicot ci forza, tramite l’empatia, a sentimenti “impensabili” (quelli di Dalva), facendoci capire con la mera forza dell’immedesimazione quanto la realtà sia molto più complessa di quello che sembra.

Siete d’accordo con la nostra recensione di L'amore secondo Dalva? Scrivetelo nei commenti!

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