L'amica geniale 3 - Storia di chi fugge e chi resta, recensione episodio 3 e 4
Finalmente Lenù si ribella a Lila, proprio nel momento in cui cerca una nuova identità, e in più vediamo un classico dei personaggi di Elena Ferrante
Questa stagione è la storia della nuova vita di Elena Greco, inizia con lei che ha scritto il suo primo romanzo e tutto sembra il risultato di quell’esplosione lì, le conseguenze infinite di un gesto d’indipendenza di una donna che ha scritto quello che non si scrive e ha avuto l’ardire di avere successo. Nelle prime due puntate molti uomini, in maniere diverse, hanno reagito a quello che c’è nel romanzo: reazioni di pancia, infastidite, scostanti e irrazionali. In queste due invece vediamo l’onda lunga, ben meno prevedibile e più interessante. In un mondo in cui continuamente c’è qualcuno che si complimenta con lei per La divagazione, spuntano donne che avendolo letto manifestano una comunanza. Donne con un brutto rapporto con il sesso e con l’altro sesso, che in quelle pagine si sono sentite rappresentate e che addirittura vogliono aprirsi con lei. La migliore è la moglie di Michele Solara, che a lei confessa l’inconfessabile: il matrimonio di convenienza, gli abusi verbali del marito, la disperazione delle umiliazioni e di una condizione di costante inferiorità. Questioni non sorprendenti presentate e raccontate in modo sorprendente.
Adesso comincia a comparire quello che spesso ricorre nelle scene e nei personaggi di Elena Ferrante, cioè i modelli di femminilità ritenuti inaccettabili dalla società. Le madri che non vogliono essere tali, le donne che si pentono del matrimonio e quelle che descrivono e vivono il sesso come un incubo. Anche Lenù comincia a scontrarsi con quello che le accade da quando diventa madre. La conseguenza più semplice è il suo essere posizionata dal marito nel ruolo di donna di casa, che non intende essere. Quella più complicata è il mutamento nella sua carriera, nelle sue possibilità e nel gradimento che gli altri hanno del suo lavoro. Un conto è esordire e tutto un altro conto è fare seguito all’esordio.
Fino a qui arriva la storia, però in queste due nuove puntate abbiamo cominciato a vedere anche con una forza maggiore l’apporto di Daniele Luchetti, cioè la maniera in cui la storia è adattata e trasformata in immagini. C’è un gusto molto più pronunciato per i dettagli ravvicinati e per la rottura della grammatica filmica prima essenziale (che appartiene a Costanzo ma in fondo anche ad Alice Rohrwacher), la voglia di immaginare e girare qualcosa di più complicato e ricercato. Se questo è interessante da un lato, dall’altro molto meno lo è il risultato, che in più di un momento persegue un’estetica molto lontana dal modello con cui la serie era partita e per tanti versi più prevedibile.
In particolare, ci sono delle scene domestiche nella casa dei genitori di Lenù che trovano luci che entrano dalla finestra, colori saturi e tavolate allegre riprese con il tipo di stilizzazione idealizzata da spot pubblicitario. Sono inserti fuori tono, degli scarti forti, voluti e cercati che costituiscono un bel salto rispetto ai toni cupi e gretti di Saverio Costanzo. E allo stesso modo un paio di sequenze di incubo fanno sorridere per come mettono in scena la paura in maniere abbastanza convenzionali e rinchiudendola in un momento specifico, apertamente onirico, quando invece prima Costanzo trovava modi sempre diversi di trasformare la realtà in un incubo, cancellando la linea di confine e usando la paura per dare un valore a quei contesti e a quelle vite.
Tutto questo non fa che aumentare la domanda: cosa sta diventando L’amica geniale? Era una serie internazionale nel budget ma molto particolare nella realizzazione, ora l’impressione è che invece vada verso una standardizzazione, che gli eventi e gli snodi vengano messi in scena nei modi più prevedibili e indirizzati verso un’armonia che non stona di certo (Luchetti è in tutto e per tutto corretto nel trasporre), tuttavia dimostrano di non avere la forza delle scelte radicali.
E dispiace, perché invece quel che continua a capitare nella trama grida l’esatto opposto. È un racconto ribelle di modelli femminili scelti accuratamente tra quelli mai raccontati, posizionati dalla vita nel ruolo che era stato delle loro madri (ed è bello come invece Lenù sia terrorizzata dall’essere come sua madre, anche solo dal claudicare come lei).
Infine questi due episodi, dopo un inizio che sembrava annunciare un riavvicinamento tra Lila e Lenù, segnano l’ingresso nel conflitto. Lila rimane per molti versi l’ideale e il modello di Lenù, quello che la spinge a dare il massimo e a essere migliore. Ora però che Lenù per la prima volta rivede la sua identità, comincia a essere costretta a pensare a chi vuole essere e fatica a raggiungere una stabilità, soffre la maniera sprezzante in cui Lila la critica sottilmente e la mette in difficoltà. Per la prima volta sembra che Lenù abbia una certa fierezza di se stessa e non sia disposta a subire da Lila.
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