Arrivato alla terza stagione,
The Americans è ormai una delle belle certezze della televisione. Uno show serio, coerente, ben sviluppato, che difficilmente sorprende, ma che altrettanto difficilmente delude. E la première, intitolata
"EST Men", non fa che confermare quest'impressione, riallacciandosi con eleganza e con i giusti ritmi al finale della stagione precedente, gettando le basi per le prossime puntate, inserendo nuovi protagonisti e limitando, per ora, la presenza di alcuni storici. Mentre siamo ormai del tutto coinvolti dalla complicata opera di spionaggio dei coniugi Dennings, la macchina della narrazione si rimette senza fatica in moto.
Il fulcro del conflitto, come è facile prevedere, è rappresentato da Paige. Nel finale della scorsa stagione i vertici sovietici, tramite Claudia (Margo Martindale), informavano Elizabeth (Keri Russell) e Philip (Matthew Rhys) che sarebbe stato avviato un progetto di formazione sul campo di una seconda generazione di spie sovietiche, già nate sul territorio americano, e che la loro primogenita era stata scelta – diciamo destinata – a farne parte. La sorpresa dei due si trasforma nel dubbio e nel conflitto che percorre tutto l'episodio, da un emblematico flashback iniziale, nel quale vediamo Elizabeth gettare con forza la figlia piccola in piscina per obbligarla a "nuotare o affogare", fino ad un confronto più schietto in macchina tra i due.
Come sempre, il conflitto si muove su due direttrici. I Jennings non sono mai stati solo agenti sotto copertura, ma anche genitori, e più volte nelle passate stagioni questi due ruoli si sono sovrapposti, incontrati e scontrati. La scelta (ma è davvero una scelta?) alla quale i due sono sottoposti non è che l'ultimo passo in questo cammino, la sovrapposizione esclusiva di questi due ruoli, e la sensazione è che l'unico modo di uscirne sia prendere una decisione che sarà inevitabilmente drammatica e che causerà uno strappo traumatico. Dall'altra parte qualcuno sembra saperlo, ed ecco che il vecchio mentore Gabriel, interpretato con intensità da
Frank Langella, ritornerà nelle vite dei due: il suo ruolo pare tutt'altro che chiaro.
Così come poco chiari appaiono i confini nelle decisioni dei protagonisti: al momento Elizabeth sembra più aperta a considerare l'opzione, mentre Philip si rifiuta categoricamente. E, molto importante per tornare al discorso del conflitto genitore-agente, non sembra farlo non perché contrario alla "giusta ideologia", o perché troppo assorbito nella nuova società, ma perché, come padre, sente di non poter tracciare per la figlia un tragitto già deciso dall'alto.
La mano sicura alla regia del veterano della serie Daniel Sackheim si incontra con la scrittura del creatore e produttore Joe Weisberg, e intanto segue gli agenti nelle loro attività "quotidiane" in un contesto internazionale di importanza cruciale per l'Unione Sovietica. Sono gli anni del conflitto in Afghanistan, quello che sarebbe stato definito – ed è una definizione che torna nell'episodio – il "Vietnam dei sovietici". Per
The Americans raccontare l'ambientazione significa farlo a partire dai personaggi, ed ecco che, nonostante l'allontanamento di Nina (
Annet Mahendru), i vertici del partito sono ancora presenti, Elizabeth è protagonista di un momento carico di tensione in cui un errore le potrebbe costare caro, così come continua il lavoro sotto copertura di Philip con Martha. Ecco, forse proprio questo segmento, con tutte le sue uscite grottesche (una scena di sesso davvero improbabile) avrebbe bisogno di una svolta o, ancora meglio, di una conclusione.
Così come si attende la nuova giustificazione, anche se qualche indizio c'è, al ruolo di Stan (Noah Emmerich) che ormai lasciatosi alle spalle la parentesi di Nina, cerca un nuovo motivo d'essere nella serie. Chissà, forse legato alla sua partecipazione all'incontro dell'EST – in cui troviamo nei panni di Lawrence come guest Scott William Winters (ce lo ricordiamo da Oz).