American Sniper, la recensione

Guerrafondaio, patriottico e fieramente repubblicano. American sniper ha una tesi ben precisa ma in fondo in fondo mostra un'umanità come pochi film sanno fare

Critico e giornalista cinematografico


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Sgombriamo il campo da equivoci: American Sniper è un film di propaganda, la biografia di un soldato americano, ovvero il cecchino con più uccisioni confermate della storia d'America, un uomo che nella visione di Clint Eastwood è un vero eroe, un pastore che protegge gli altri esseri umani per vocazione, dentro e fuori dalla guerra. È anche un film con dialoghi molto meno raffinati dello standard cui Clint ci aveva abituato e in questo l'adattamento e il doppiaggio italiano non aiutano di certo, in certi punti grossolano per non dire al limite del kitsch. Fieramente repubblicano, fieramente dalla parte dei "nostri ragazzi" e fieramente statunitense, non è facile volergli bene, ma, per fortuna, alla fine è anche fieramente dalla parte dell'essere umani.

American Sniper incrocia e mette in scena in maniera più diretta del solito diversi principi fondanti della carriera del suo autore, ovvero l'idea che esistano guerre umane e sociali che vadano combattute per vocazione, un certo pessimismo nel vedere la vita umana come dominata dal fatalismo e il fatto che, benchè sia necessario spararle, qualsiasi pallottola che va a segno crei un grosso problema in chi la fa esplodere più che in chi la riceve. L'interesse di American Sniper non è quindi certo per le vittime (sono "il nemico" più volte definito "delle bestie") quanto per gli artefici della violenza, i "pastori", cioè la piccola percentuale di esseri umani che nella visione del film hanno per indole l'esigenza di difendere e proteggere chi non è in grado di farlo da sè.

Eppure nonostante tutto, nonostante l'essersi messo al servizio di un film a tesi, nonostante l'aver girato un'agiografia in cui ci sono dei "cattivi" (vestiti di nero che fanno cose spietate senza rimorsi) e nonostante una visione molto diretta e poco complessa del conflitto, esiste una poetica umana in quelle immagini che a suo modo riesce ad essere struggente. Usando la classica struttura del film di guerra moderno (che alterna i ritorni in patria con i ritorni sul fronte) e quella del film di cecchini (in cui ad un cecchino si deve contrapporre sempre un altro cecchino, due individualità che portano avanti una guerra personale in un conflitto globale), Eastwood inietta una pietà tale per il suo eroe con la quale anche il meno guerrafondaio dei cuori, se vuole, può empatizzare. Nella maniera inesorabile in cui la storia è narrata, in cui gli eventi sono scanditi e le scene sono organizzate, insomma nella diegesi, c'è un minimalismo narrativo sommesso e una delicatezza nel trattare le conseguenze della guerra sul protagonista che non sono comuni. Battono fievoli ma si sentono. Espedienti già visti e noti in altri film (un rumore che pare evocare ricordi bellici quando si è tornati dal fronte, il mutismo dei reduci ecc. ecc.) sono maneggiati con una tale fenomenale economia narrativa che è difficile rimanere indifferenti di fronte a questo ragazzone semplice d'animo, violento nel cuore ma terribilmente umano.

Viste le posizioni decise ed estreme che prende non tutti si troveranno d'accordo con il punto di vista del film, tuttavia è innegabile che la poesia umana che esce fuori dai non detti e dalla maniera in cui sono scandite scene, momenti e sequenze, dalla recitazione pacata di Bradley Cooper e alle volte anche solo da un sospiro non sono comuni.

american sniper

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