American Hustle - L'apparenza inganna, la recensione
Uno dei film destinati a raccogliere più premi dell'annata è anche uno dei migliori di David O. Russell. Forse l'unico che, puntando come sempre sugli attori, trova anche 4 interpretazioni potentissime...
Probabilmente è stato il successo di Argo a sbloccare la sceneggiatura di Eric Singer intitolata "American bullshit" che da tempo attendeva di diventare film.
Si racconta di una vera operazione dell'FBI, chiamata Abscam, che mirava a truffare una serie di mafiosi e uomini politici per metterne a nudo gli impicci. Per farlo il federal bureau costrinse due tra i più brillanti, abili e inafferrabili truffatori d'America a lavorare per il governo.
Utilizzando per il 90% attori dei suoi ultimi film (Amy Adams, Christian Bale, Bradley Cooper, Robert De Niro e Jennifer Lawrence) David O. Russell confeziona uno dei suoi film migliori. Rispetto alle pretese smisurate (e senza senso) di The Fighter o alla parabola sempliciotta e scaldacuore di Il lato positivo, American Hustle utilizza quei medesimi attori per raccontare la forza del falso, della menzogna e della messa in scena (non sfugge che quindi dietro metafora parli anche del cinema) al pari dei limiti e degli abissi dell'inganno, ma tutto a partire dalle debolezze umane (che è il tema più ricorrente dei suoi film).
Più divertente a vedersi che a dirlo, American Hustle rigetta subito il modello "stangata" (la quintessenza del film di truffe, specialmente se in costume) per costruire una serie di ritratti umani e farli scontrare. Alle truffe vere e proprie (che non sono mostrate con la goduria pornografica con cui solitamente il cinema le esplora) American Hustle predilige infatti il vortice in cui prendono i protagonisti e come falsino i loro rapporti.
Ad elevare però questo film un po' sopra le consuete parabole ruffiane del regista (non che non lo sia anche questa decisamente più godibile) è la prospettiva scelta. American Hustle ride molto dei suoi personaggi e utilizza elementi solitamente poco sfruttati come trucco e costumi come generatori di ironia per prendere così le distanze dalla storia. Il senso del grottesco, del ridicolo passa per riporti, riccetti, pelliccioni, ridicoli vestiti da gran sera e dall'eccesso di cura dell'ostentata moda anni '70, trovando anfratti inediti d'umorismo.
Ma, oltre a questo, stavolta la strategia tipica di David O. Russell di basare gran parte della messa in scena sugli attori arriva ad un livello nuovo di efficacia. Effettivamente i 4 protagonisti sembrano più in forma che mai e regalano senza dubbio la loro prestazione migliore degli ultimi 10 anni (non che fosse difficile se non per Jennifer Lawrence).
Sebbene la scelta di andare avanti e indietro con il tempo della storia non sia il massimo (diventa quasi una forzatura ad un certo punto e pare un mezzuccio per ingarbugliare ad arte l'intreccio della truffa e farlo comparire più complesso di quanto non sia) il connubio riuscito tra 4 grandissime prestazioni e una regia che si appoggia in toto ad esse, regala dei momenti come la lunga potentissima sequenza in discoteca tra Amy Adams e Bradley Cooper o gli straordinari piani d'ascolto di Christian Bale in tutta l'ultima mezz'ora che lasciano intuire la forza dell'idea di cinema che Russell non riesce sempre a mettere sullo schermo. Volti, espressioni e attimi che, come un effetto 3D subitaneo, donano una profondità immediata anche per il più canonico dei film su realtà e finzione.