American Horror Story: Cult 7x11 "Great Again" (finale): la recensione

Lo show di Ryan Murphy arriva al termine della stagione: ecco cosa è accaduto nel finale di American Horror Story: Cult

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Spoiler Alert
In linea con i dieci episodi che l'hanno preceduto, il season finale di American Horror Story è più agganciato alle tematiche della storia che alle stringenti motivazioni personali dei protagonisti. Come da tradizione nella serie di Ryan Murphy, qualunque racconto formativo di medio o lungo periodo passa in secondo piano rispetto all'accumulo di situazioni grottesche che puntellano qua e là la vicenda generale. Great Again, titolo che rievoca immediatamente quel riferimento costante alla presidenza di Trump, che è stato il grande collante ideale di Cult, ripropone vecchie considerazioni, e preme l'acceleratore su qualcosa di nuovo, perfino dissonante rispetto a punti di vista più ovvi. Ecco, questa idea è ciò che rimane al termine di una stagione non esaltante.

Il piano di Ally per distruggere dall'interno il gruppo di fanatici guidati da Kai giunge al termine nel momento in cui l'FBI fa irruzione nella base logistica arrestando proprio il pericoloso leader. Seguiamo quindi su binari paralleli la rapida ascesa di Ally, che sfruttando la propria drammatica esperienza riesce a porsi come campionessa di un certo tipo di politica, candidandosi come senatrice. A questa fa da contraltare il periodo in carcere di Kai, che medita vendetta. Nel momento decisivo, in un ribaltamento di ruoli rispetto a quanto visto finora, è il manipolatore Kai ad essere sfruttato per i fini altrui. Ally è inarrestabile, Kai viene ucciso, e sullo scenario politico americano si staglia una nuova ombra, forse più subdola e quindi più pericolosa.

Il punto di vista iniziale di Cult era abbastanza chiaro, perfino troppo. La presidenza Trump porta con sé una serie di considerazioni troppo scontate per ripeterle qui, ma ciò che è importante è che fonda una contrapposizione di categorie sociali che, per forza di cose, assorbe tutte le persone che ne fanno parte. I buoni e i cattivi, secondo qualcuno, in cui il bene corrisponde sempre, ovviamente, al proprio schieramento di appartenenza. E questo in realtà ci dice ben poco nel momento in cui la serie prende nettamente le parti di una delle fazioni in campo, lanciando critiche che si parlano addosso e non dicono nulla di nuovo.

Per molto tempo Cult è stato questo, con le sue tirate contro chi prende per buone le fake news su Facebook e contro chi utilizza la paura per consolidare il proprio potere. All'interno di queste considerazioni tuttavia si è mosso strisciante un altro punto di vista, che sapeva giocare su quell'appartenenza forzata alle categorie che dicevamo sopra, e che vedeva le stesse figure negative come un prodotto del malessere interno alla società stessa: in breve, Kai è una vittima tra le tante, è solo convinto di non esserlo e di tenere le redini del gioco. Far diventare Ally una sorta di villain è un buon esito, forse il migliore che la serie potesse utilizzare, per quanto scontato a questo punto. Nell'essere trascinata a forza sul campo da gioco, Ally ne apprende le regole contorte, e impara a giocare mettendosi sul livello degli altri. L'attacco qui ancora una volta non è ad una categoria, o ad un modo di pensare; si tratta di una critica più trasversale, che mette al centro un sistema di pensiero troppo polarizzato su confronti netti, e quindi forse più manipolabile. Decisamente qualcosa di più stimolante rispetto ad una critica unidirezionale.

Tanto era dovuto, il problema è che dal punto di vista narrativo nulla di interessante ci ha accompagnato nell'espressione di questa critica. American Horror Story fatica storicamente a costruire archi narrativi compiuti a fronte di un setting spesso affascinante. Qui, al netto di barocchismi accantonati per concentrarsi sulla critica sociale, i problemi di storytelling sono rimasti. Né Kai né Ally né altri sono personaggi sensati, tridimensionali, logici. Poco ha senso, tutto accade in base a logiche di necessità, le azioni si svolgono in un mondo astratto, passivo, quasi una parodia. Che potrebbe anche avere un senso in base a quello che abbiamo detto finora, però al tempo stesso rende tutto molto respingente.

In conclusione un finale più soddisfacente rispetto ad alcune passate stagioni dello show, ma al tempo stesso un'annata che non risolleva più di tanto le sorti di una serie che, per quanto tenti di rinnovarsi, ripropone sempre gli stessi difetti.

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